Valerij Alekseevič Legasov: una scomoda verità sul disastro di Chernobyl

Valerij Alekseevič Legasov: una scomoda verità sul disastro di Chernobyl
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Valerij Alekseevič Legasov, nato a Tula nel 1936, fu un chimico sovietico che divenne particolarmente noto a seguito dello scoppio di uno dei reattori della centrale nucleare di Chernobyl per gli studi che condusse sulle cause del disastro. Laureatosi nel 1961 in ingegneria fisico-chimica all’Istituto di Chimica e Tecnologia Mendeleev di Mosca, nel 1962 entra nella scuola di specializzazione nel dipartimento di fisica molecolare dell’Istituto Kurchatov di Energia Atomica, nel 1967 consegue la laurea di Kandidat e il dottorato di chimica nel 1972. Esercita la professione di professore nell’Istituto di fisica e tecnologia di Mosca dal 1978 al 1983, anno in cui cominciò a lavorare come capo del dipartimento di radiochimica e tecnologie chimiche della facoltà di chimica dell’università statale di Mosca, professione che eserciterà fino alla morte. Nel 1983 diventò inoltre il primo vicedirettore dell’Istituto Kurchatov di Energia Atomica. Legasov morì nel giorno in cui ricorreva il secondo anniversario del disastro nucleare impiccandosi alla ringhiera delle scale della sua abitazione. Prima di suicidarsi ebbe cura di registrare una cassetta audio, nella quale rivelava tutto ciò che di cui era venuto a conoscenza e che gli era stato imposto di non rivelare riguardo alla catastrofe.

Il 26 aprile del 1986, alle ore 1:23:45 esplose il reattore nº 4 della centrale nucleare di Chernobyl situata in quella che allora era la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. In particolare le esplosioni furono due e si verificarono a distanza di pochi secondi l’una dall’altra; durante la prima, a causa del vapore surriscaldato ad altissima pressione, venne sparato in aria il disco di copertura che chiudeva il cilindro ermetico che conteneva il nocciolo del reattore, in seguito il grande volume di idrogeno e polvere di grafite ad altissima temperatura liberati dal nocciolo a contatto con l’ossigeno generarono la seconda esplosione.

In seguito alla seconda esplosione divampò un incendio della grafite contenuta nel nocciolo; proprio questo incendio disperse nell’atmosfera per alcune ore un’enorme quantità di isotopi radioattivi. Legasov divenne uno dei principali membri della commissione designata dal governo sovietico per investigare sulle cause del disastro e per redigere un piano volto ad arginarne le conseguenze. Nell’agosto del 1986 presentò al Soviet una relazione nella quale dichiarava che la responsabilità del disastro era da attribuire ai difetti di progettazione dell’impianto da parte del governo sovietico. Legasov già prima dell’accaduto era noto per aver capito e evidenziato che gli impianti nucleari necessitavano di nuovi sistemi di sicurezza. Il governo sovietico non poteva certamente lasciare che venissero divulgate simili e compromettenti informazioni, così costrinse il chimico a presentare di fronte all’Agenzia Internazionale per l’energia atomica (AIEA) di Vienna una versione corretta della relazione dove la responsabilità maggiore veniva attribuita agli errori commessi dai tecnici che in quella notte avevano svolto un test di sicurezza sul reattore nucleare RBMK numero 4 della centrale. Da una parte questo corrisponde: infatti gli errori commessi dagli operatori furono molti e il test che provocò l’incidente era stato posticipato di 10 ore rispetto alla pianificazione iniziale, durante le quali la potenza del reattore venne progressivamente abbassata senza che nessuno si accorgesse di tale instabilità e, quando scattò l’allarme che rese necessario il repentino spegnimento del reattore, si innescò una reazione a catena che ne provocò l’esplosione. Dall’altra, dopo che fu eseguita un’analisi della registrazione fatta da Legasov subito prima che si suicidasse in vista della produzione del film TV della BBC dal titolo “Chernobyl Nuclear Disaster”, emersero non solo i tre principali difetti di progettazione dell’impianto ma anche che il governo sovietico sapeva già prima del disastro che la struttura aveva molti difetti in più punti e, nonostante ciò, avesse comunque imposto a Legasov pesanti censure perseverando nell’errore.

Legasov nei messaggi lasciati prima di suicidarsi disse che l’approccio alla sicurezza nucleare doveva essere composto da tre elementi: il primo è rendere un reattore nucleare il più sicuro possibile, il secondo rendere il funzionamento di quell’oggetto il più affidabile possibile anche se non è mai possibile arrivare al 100 % dell’affidabilità, e infine vi è il terzo elemento, quello che, pur ipotizzando succeda un incidente nucleare e che la radioattività si disperda al di fuori dell’oggetto, è necessaria una recinzione dell’oggetto pericoloso che viene chiamato isolamento. Legasov dichiarò: “Nell’energia nucleare sovietica, il terzo elemento, dal mio punto di vista, è stato ignorato criminosamente (…). Se ci fosse una filosofia di isolamento obbligatorio di tutti gli oggetti nucleari poi, il RBMK (classe di reattori nucleari costruiti in Unione Sovietica di cui fa parte quello di Chernobyl) per la sua geometria e per la sua costruzione, semplicemente non potrebbe esistere. La struttura di questo tipo di impianti, dal punto di vista delle norme di sicurezza internazionali – e in realtà del tutto normali – non sarebbe consentito”.

Secondo il chimico sovietico inoltre l’impianto aveva anche tre importanti sviste di progettazione; il primo riguardava i sistemi di protezione di emergenza che sarebbero dovuti essere due, il secondo riguardava il fatto che uno di essi avrebbe dovuto funzionare indipendentemente dall’operatore e di quest’ultimo il reattore RBMK ne era privo, e il terzo riguardava il fatto che i sistemi di protezione di emergenza erano accessibili al personale della stazione e gli operatori del reattore 4 ne avevano disattivati manualmente alcuni per condurre il test che stavano facendo prima dell’esplosione, non esistevano codici speciali e nemmeno la duplicazione del processo per disabilitare le protezioni automatiche. Sempre nella sua registrazione Legasov ammette le censure a cui era stato costretto dicendo che: “Per quanto riguarda la fisica e la tecnologia dei reattori sovietici, si tratta di un ambito che mi era stato interdetto, sia a causa della mia formazione, sia a causa del tabù imposto da Anatoly Petrovich Alexandrov, capo dell’Istituto Kurchatov, e dai suoi subordinati che lavorano in quel settore (…)”. Egli si curò inoltre di evidenziare che lo stesso problema di Chernobyl riguardava anche gli altri 28 reattori nucleari sovietici dicendo: “Bisogna ora considerare le possibili misure per isolare i 28 reattori sovietici che ancora non hanno un contenimento. Poiché non è tecnicamente o economicamente fattibile costruirvi cupole intorno, oggi dobbiamo considerare metodi non tradizionali di localizzazione di possibili incidenti all’interno degli apparecchi. Questo è principalmente un compito della comunità sovietica, è un nostro problema”.

Nonostante le conseguenze causate dal disastro nucleare di Chernobyl siano state gravissime, tant’è che al 2021 è considerato il più grave incidente della storia del nucleare civile e viene classificato con il settimo livello (il massimo) della scala di catastroficità INES, senza le tecniche promosse e attuate da Legasov per mitigarle sarebbero state anche peggiori e avrebbero causato danni molto più ingenti. Egli infatti insistette perché la città di Pripjat, situata a soli 2 km dal reattore, venisse evacuata, dopo il disastro sorvolò la centrale di Chernobyl un paio di volte al giorno e fu lui a comandare che sarebbe dovuto essere scaricato del carburo di boro in grandi quantità da degli elicotteri per assorbire i neutroni.

Per ragioni di sicurezza era permesso trascorrere al massimo due settimane sul posto, lui vi rimase quattro mesi. Sua figlia, in proposito, dichiarò: “Era l’unico scienziato a lavorare sul posto, capiva abbastanza chiaramente quello che stava facendo e la quantità di radiazioni a cui era esposto”. Fisicamente Legasov cominciò a sentire sul suo corpo i sintomi causati dalle radiazioni già a maggio, inoltre i due anni successivi al disastro oltre che dal punto di vista fisico furono abbastanza difficili anche dal punto di vista psicologico.  

Egli avrebbe voluto che il governo sovietico provvedesse agli errori commessi e cominciasse a lavorare sugli impianti degli altri 28 reattori nucleari sovietici per scongiurare un altro disastro, ma tutto questo non accadde. Non solo non accadde ma addirittura Mikhail Gorbachev tolse per due volte il suo nome dalla lista di coloro che avrebbero ricevuto una decorazione di Eroe del Lavoro Socialista per l’intervento di risposta all’emergenza di Chernobyl. Tuttavia dopo il suo suicidio il governo si ricredette e ammise che gli impianti nucleari avevano dei difetti strutturali, gli stessi che aveva l’impianto di Chernobyl già prima del disastro. Inoltre il presidente Boris Eltsin gli conferì il titolo di “Eroe della Federazione Russa” per il “coraggio e l’eroismo” dimostrati il 20 settembre del 1996, dieci anni dopo la catastrofe.

Nella miniserie “Chernobyl” Legasov, interpretato da Jared Harris, pronuncia un toccante discorso che riassume a pieno il valore di un uomo e di uno scienziato che ha visto con i propri occhi quanto le menzogne possano essere deleterie e che avrebbe voluto scegliere la verità e utilizzarla per prevenire altre catastrofi dello stesso tipo: “Essere uno scienziato vuol dire essere un ingenuo. Siamo così presi dalla nostra ricerca della verità da non considerare quanto pochi siano quelli che vogliono che la scopriamo, ma la verità è sempre lì, che la vediamo o no, che scegliamo di vederla o no. Alla verità non interessano i nostri bisogni, ciò che vogliamo, non le interessano i governi, le ideologie, le religioni. Lei rimarrà lì, in attesa, tutto il tempo. Quando la verità ci offende, noi mentiamo e mentiamo, fino che non ci ricordiamo neanche più che ci fosse una verità. Ma c’è, è ancora là. Ogni menzogna che diciamo contraiamo un debito con la verità. Presto o tardi quel debito va pagato. Ecco cosa fa esplodere il nocciolo di un reattore RBMK. Le bugie.

Alaimo Valentina

Fonti: docu-dramma Surviving Disaster- Chernobyl Nuclear Disaster, BBC (2006)

Chernobyl (2019) Full Cast & Crew

"È MIO DOVERE DIRE QUELLO CHE SO" (dalle memorie di Valerij Legasov)

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