Giuseppe De Rita, uno dei fondatori del Censis, recentemente ha dichiarato che oggi la cultura dominante è quella dell'opinionismo, che sta prevalendo sulla cultura umanistica. Scalfari, d'altro canto, sosteneva che da anni non esiste più l'opinione pubblica. Chi ha ragione? Potrebbero in parte avere ragione entrambi o le cose sono mutuamente esclusive? Oggi si usa dire di alcuni: “Il tizio pensa di avere un'opinione su tutto e invece non sa niente”. Così pensando però ognuno dovrebbe esprimere opinioni solo ed esclusivamente nel proprio ambito di competenza, se ce l’ha. È vero, per esprimere un'opinione bisognerebbe essere informati, magari essersi documentati. È vero che un conto è sapere è un altro è pensare di sapere. E questo non sarebbe comunque una sorta di espertismo antidemocratico, in fin dei conti e a ben vedere? La libertà di espressione, di qualsiasi espressione è il fondamento, il sale della democrazia. La democrazia prevede la libertà di parola anche agli ignoranti e agli stupidi. E poi siamo tutti ignoranti in qualche ramo dello scibile e siamo stati tutti nella vita, almeno qualche volta, stupidi o ci siamo comportati da stupidi! Non solo ma esiste la psicologia degli atteggiamenti e delle opinioni, che ha dimostrato gli stereotipi, i pregiudizi, i luoghi comuni di tanti. Gli intellettuali dovrebbero cercare di sradicarli o almeno di combatterli invece di rafforzarli e di pubblicizzare i propri. Certamente noi persone comuni dovremmo ascoltare e leggere gli esperti. Gli studiosi si dovrebbero aprire maggiormente alla società civile. Talvolta questo circolo virtuoso non si attiva. Tutto viene delegato agli influencer su Internet e agli opinionisti, talvolta di bassa lega, in televisione. Un tempo esisteva l'opinionismo dal basso. Negli anni Settanta mio padre mi raccontava che dopo cena davanti al duomo di Milano c'erano degli oratori che parlavano di politica o di attualità e poi, detta la loro, veniva aperto il dibattito. La stessa cosa avveniva, sempre in quegli anni, a Bologna in Piazza Maggiore. Oggi ci sono la televisione. C'è Internet. I dibattiti in piazza non si fanno più. Credo personalmente che se gli italiani uscissero dalle loro bolle e scendessero nelle piazze a conoscersi e parlare, le cose nel nostro Paese migliorerebbero notevolmente. Ma l'agorà non c'è più. La polis non esiste più. La televisione è un medium di massa. Deforma le riflessioni degli intellettuali. Pasolini ne era ben consapevole e si autocensurava spesso. Isabella Santacroce, per rimanere ai giorni nostri, ha deciso di non andare più in televisione perché la TV deforma, costringe alla banalizzazione, non è la realtà ma una rappresentazione distorta della realtà. Su Internet esiste una maggiore diffusione della conoscenza, ma non tutti sono capaci di distinguere bene il grano dal loglio. Un grande problema non è l'opinionismo ma l'opinionismo di scarsa qualità. Prima cosa: se non si è dei pensatori originali, bisognerebbe leggere libri seri e non guardare la televisione. È meglio riconoscere di pensarla allo stesso modo di Umberto Eco che di Maria Teresa Ruta o di Alba Parietti (con tutto il rispetto per queste ultime). Seconda cosa: c'è stato negli anni uno scadimento generale degli opinionisti. Un tempo i grandi intellettuali andavano in tv. Oggi i maestri di pensiero sono di meno e non vanno in tv o sui social. Essendoci opinion leader di scarso livello, il dibattito peggiora. I mass media inoltre ci incanalano in determinate scuole di pensiero sulla pandemia, sulle guerre, su destra e sinistra, sull'inflazione, sulla crisi economica. Siamo davvero noi che pensiamo autonomamente oppure tutto è una rimasticatura di quello che ascoltiamo in tv e che leggiamo sui giornali e su Internet? Esiste un problema gnoseologico di fondo: abbiamo un processo conoscitivo a imbuto. Il mondo è un insieme illimitato di cose e di fatti, noi immagazziniamo pochi stimoli a livello percettivo e li categorizziamo verbalmente una minima parte. Per non parlare del fatto che a livello mnestico tratteniamo poco. Rimaniamo incollati di fronte al grande, immenso bombardamento di notizie, talvolta di fake news. Esprimere opinioni significa dire la propria, cosa più che legittima e doverosa, e cercare di essere teste pensanti. Ma siamo davvero pensanti? Oppure siamo replicanti del già detto, del già pensato?