Sui poeti troppo egoriferiti e sulla tecnica dell'eavesdropping...

Sui poeti troppo egoriferiti e sulla tecnica dell'eavesdropping...
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Perché prendersela tanto da parte dei critici letterari nei confronti della poesia neolirica? Affermo da tempo immemore che anche gli aspiranti e sedicenti poeti più sentimentali, più pretenziosi, più presuntuosi, più megalomani, più sentimentali devono aver modo di esistere. Insomma c'è posto per tutti! La critica più comune che viene fatta ai neolirici è quella di essere egoriferiti. È vero che non tutti gli egotisti hanno la genialità di Stendhal!  È vero a ogni modo che come scrisse Morandotti in un suo aforisma "Io è l'abbreviazione di Dio". È vero che con tutte le brutture del mondo parlare di sé è quasi un delitto, ma anche pensare di fare denuncia sociale con la sola poesia può essere vista come mera illusione, come semplice utopia. Comunque scrivere poesie è sempre un modo per scavare dentro sé stessi, per cercare di ridurre l'omologazione, per affermare la propria individualità, per essere spirituali, per relazionarsi alla natura, per meditare. Anche scrivere solo di sé stessi inoltre è un modo per trovare uno stile e un linguaggio proprio, non omologato, non standardizzato. La poesia è un mezzo per trovare parole autentiche e alla fine la propria autenticità.  Non solo ma anche nei poeti in cui c'è tanto io c'è sempre una minima percentuale di liriche in cui c'è anche il mondo e il loro rapportarsi ad esso: insomma non tutto è perduto e non tutto è da buttare. Ci sono anche poeti sperimentali che annotano le frasi che ascoltano sull'autobus, al bar, nella strada e poi le riportano nelle loro liriche. È uno stratagemma per indebolire un io altrimenti troppo presente e troppo forte. La parola d'ordine da parte di questi poeti è cercare di ridurre il più possibile l'io.  È la tecnica poetica dell'eavesdropping. Innanzitutto di chi è il copyright? È vero che c'è l'io poetico che si mette in ascolto, seleziona, registra, ma questo accade anche nel plagio! È legittimo? Oppure significa rubare frasi al prossimo? Non rientra in un'appropriazione indebita di parole? Non può essere considerato un giochino intellettuale per mettere alla berlina il prossimo? E siamo certi della qualità e della resa poetica dell'eavesdropping, indipendentemente dal fatto che i suoi fautori sono anche critici che difendono la validità di questa tecnica con le unghie e con i denti? C'è davvero talento nell'eavesdropping o è un modo come un altro per imporre un diktat critico e alla fin fine prendere in giro la comunità poetica? E se origliare nella vita comune è un atto riprovevole, perché dovrebbe essere ben visto in poesia? E poi siamo davvero sicuri che siano meglio le voci degli altri e non la voce di un aspirante poeta? Chi stabilisce con certezza cosa sia più interessante? Perché devono essere meglio le voci degli altri a priori e a prescindere, se gli altri sono omologati, massificati e non vanno oltre le ovvietà e i truismi? È meglio l'io del poeta singolare, originale, intellettuale, che prende le distanze da mass media e capitalismo oppure sono meglio le voci degli altri, che si rispecchiano nei falsi miti e nell'idoleggiamento di vip e status symbol? È meglio la voce del poeta che cerca l'individuazione e il suo vero Sé o sono meglio  gli altri che sono conformisti e superficiali? Si ritorna al discorso del poeta Maurizio Cucchi, ovvero che la lingua dal basso non esiste più, perché oggi il cosiddetto popolo parla la stessa identica lingua dei mass media. Insomma bisogna vedere quel che ha da dire e da scrivere l'io; bisogna vedere le verità che ci danno le voci degli altri. Che poi registrare e scrivere le voci degli altri per mostrarne la loro superficialità,  il loro vuoto, la loro banalità non significa forse essere snob ed elitari? E poi siamo sicuri che tutti capirebbero questa operazione poetica? E allora perché invece di mostrare la pochezza del parlato del popolo, condizionato troppo da televisione e mass media, non attaccare frontalmente potere, mass media e televisione? È chiaro che i poeti devono anche non cadere nel falso mito prima romantico e poi dannunziano del poeta come persona unica, speciale, al di sopra del bene e del male. No. Un poeta è solo un essere umano come gli altri che ricerca la sua unicità e irripetibilità e non è detto che la trovi. Ci sono tre modi proficui poeticamente per usare il proprio io: 1) inabissarsi nel profondo dell'animo e dell'inconscio per giungere a degli universali 2) innalzarsi verso Dio ed essere spirituali. In questo caso la poesia diventa una preghiera 3) relazionarsi con il mondo esterno, destrutturando e depotenziando un poco l'io, aprendosi agli altri e rimanendo in ascolto degli altri, senza scomparire dalla scena e senza rinunciare alla propria individualità. A mio modesto avviso con l'eavesdropping si lascia troppo spazio agli altri, si rinuncia troppo a sé stessi e non è detto che sia un bene.

Un poeta per aggirare questi inghippi, queste possibili critiche e per essere più completo ed esaustivo  possibile dovrebbe suddividere una raccolta almeno in tre sezioni: poesie dell'io, poesie del noi, poesie del mondo o sul mondo.

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