Arte contemporanea, poesia contemporanea e mass media

Arte contemporanea,  poesia contemporanea e mass media
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Questo mio saggio breve è stato pubblicato nel numero 101 della rivista Atelier. Ringrazio per la gentile concessione l'editore Giuliano Ladolfi, la direttrice Giovanna Rosadini, la redazione tutta. Cercate "Atelier poesia" in rete, visitate il sito e abbonatevi alla rivista cartacea.


Arte contemporanea , poesia contemporanea e mass media :

Perché i migliori poeti in Italia non possono vivere di poesia? Perché devono fare gli editor, gli insegnanti, i traduttori? Perché spesso si trovano in difficoltà economiche? Perché la Merini e Zeichen hanno fatto la fame? Perché c’è così tanto bisogno della legge Bacchelli per i poeti e le poetesse? Perché invece dei mediocri pittori riescono a sbarcare il lunario, seppur senza pretese? I motivi sono diversi e rispondere a queste domande è complesso. Banalmente potremmo affermare che è la legge della domanda e dell’offerta. È questione di mercato. Il mercato condiziona anche gli stessi musei, che ai tempi delle lira pagavano centinaia di milioni gli esemplari di “merda d’artista”. Qualcuno ha pensato che in Italia troppo pochi leggono poesie e molti le scrivono malamente, abbassando il livello qualitativo medio. Eppure potremmo affermare che analogamente nell’arte contemporanea ci sono molti astrattisti che non sanno più dipingere o molti epigoni della neoavanguardia che sono solo capaci di fare provocazioni inutili. Se tutto è arte allora niente è arte. Però questo dovrebbe valere sia per la poesia che per gli eredi di Duchamp e Piero Manzoni. E allora perché questo succede solo alla poesia? Un grande esperto come l’editore Nicola Crocetti ha risposto dicendo che nessun prodotto vende se non è promosso, se è distribuito in pessimo modo come la poesia oggi nel nostro Paese. Ha anche aggiunto che in altre nazioni la poesia si vende e se non si vende in Italia è soprattutto una questione di cultura. In sintesi in Italia non si legge e la poesia è l’arte più povera. Agli scrittori va un poco meglio, ma sono pochi quelli che campano solo con i loro libri. Le grandi casi editrici si lasciano sopraffare dalle logiche di mercato? Sempre più spesso pubblicano diari di influencer e biografie di vip (scritte da ghost writer). La realtà è che ci sarà una ristretta cerchia di influencer e una grande massa di influenced. Ma in fondo è sempre stato così nel corso della storia. Non c’è da meravigliarsi. Le ragioni della crisi della poesia in Italia possono essere molteplici. Molto probabilmente si tratta di una concomitanza di fattori, di una serie di concause. Un motivo è che il pubblico si accontenta delle canzoni, ovvero di un surrogato delle poesie. In sintesi i cantanti stranieri tolgono il pane ai cantanti nostrani, che tolgono a loro volta lavoro ai poeti italiani. Forse i quadri e la musica leggera sono più facilmente fruibili, anche dai non esperti? Forse “arrivano” al pubblico. Sono i galleristi e gli operatori delle case d’asta a incidere nella commercializzazione, a determinare le cosiddette logiche di mercato. Potremmo pacificamente affermare che molti quadri contemporanei sono venduti a cifre astronomiche perché hanno grande valore sociale. La stessa cosa non si può dire per la poesia contemporanea? C’è inoltre un'insufficiente considerazione della poesia da parte dei mass media. Potremmo tranquillamente dire che questa è la civiltà delle immagini, mentre invece le parole vengono svalutate, mortificate quotidianamente. La poesia italiana contemporanea spesso cerca lo scarto dal linguaggio ordinario massificato, forse per questo non viene apprezzata e neanche compresa. Un’altra ragione per cui la poesia è in crisi è la sovrapproduzione di libri di poesia ogni anno e la grandissima proliferazione di componimenti nel web. Insomma troppa offerta e poca domanda. Probabilmente non si riesce più a distinguere il grano dal loglio.  La poesia contemporanea non vende perché ha scelto una strada impervia ed irta? Forse è spesso anticomunicativa e a tratti illeggibile? Un tempo le poesie venivano imparate a memoria e forse era uno sforzo inutile. Oggi non si imparano a mente ma i programmi ministeriali non sono stati ancora aggiornati. Insomma molti escono dalle scuole e odiano la poesia. Pasolini invece fece una illuminante riflessione sulla ontologia estetica della poesia. Pasolini definì nella trasmissione di Enzo Biagi “Terza B, facciamo l’appello” la poesia come “merce inconsumabile”. Nessuno potrà mai produrre in serie poesia e nessuna lirica avrà mai una obsolescenza programmata. Pasolini sosteneva che la poesia rimarrà sempre merce “inconsumata”, anche dopo che è stata letta migliaia di volte. Per il celebre poeta una lirica letta mille volte poteva sprigionare un nuovo significato. Anche questo va considerato: la poesia può essere vista come un errore o una anomalia del consumismo. Ad ogni modo non scagliamoci in fin dei conti contro l’arte contemporanea. Nessun furore iconoclasta. Questo mio ragionamento nasce solo da una constatazione di fatto. Sono voluto partire dalla dicotomia arte contemporanea/poesia contemporanea per fare considerazioni a largo raggio. Per Adorno dopo Auschwitz non si può più scrivere poesia. In realtà oggi molti scrivono poesia. Secondo altri studiosi la poesia è in crisi a causa dello scientismo, della razionalità tecnologica, del neopositivismo imperanti. Per altri non c’è più posto per la poesia in un mondo così pragmatico. Per altri ancora la poesia non ha più più alcuna funzione sociale. Per alcuni la poesia italiana è in crisi perché troppo intimista; per altri al contrario perché troppo ancorata agli stilemi della neoavanguardia; per alcuni perché è troppo criptica, addirittura esoterica; per altri perché è informe e diversamente brutta; per alcuni è colpa dell’editoria a pagamento, che illude tanti aspiranti poeti; per altri è il segno dei tempi in quanto i lettori si sono accorti della inutilità della poesia. La poesia non ha più pubblico nel nostro Paese. Resta un unico attore sulla scena, ma è un soggetto molto debole: l’autore. Resta interdetto il mandatario, ovvero il poeta contemporaneo. Secondo Romano Luperini siamo passati dalla letteratura della crisi alla crisi della letteratura. Questo naturalmente vale anche per la poesia nostrana. Cosa è successo?  La poesia nostrana forse non riesce più nella testualizzazione del mondo e non si fa più carico dei valori esistenziali? Oppure la colpa è solo dell’analfabetismo di ritorno? Si potrebbe sostenere che la poesia è un genere marginale a causa della sua ideologizzazione,  a causa della autoreferenzialità della scrittura, a causa di componimenti metalinguistici o addirittura metapoetici, a causa dell’eccessivo sperimentalismo, a causa dell’irrazionalismo e dell’oscurità di alcuni poeti, a causa della “pseudopoesia” di Montale e Pasolini (tesi sostenuta dal critico e poeta Giorgio Linguaglossa). Si potrebbe sostenere che sono molti i verseggiatori e pochi i poeti. C’è chi vorrebbe essere inclusivo per una maggiore partecipazione collettiva e chi vorrebbe essere più esclusivo perché la pensa come Fortini, secondo cui la storia era storia di minoranze coerenti, capaci e molto ostinate. Oggi come oggi in definitiva la poesia italiana è aristocratica, di nicchia? Croce e delizia, prendere o lasciare. Questa è l’analisi della situazione, ma non ci sono soluzioni semplici per superare questa crisi. È da decenni che la crisi perdura e questa situazione di impasse non è mai stata superata. Insomma è difficile stabilire i motivi. Sono pochi i poeti italiani contemporanei che divengono celebri. Resteranno solo coloro che hanno pubblicato con grandi case editrici. Gli altri cadranno nell’oblio, salvo imprevisti ed improvvisi cambiamenti di rotta. Secondo Montale la poesia non è più possibile in questa società di comunicazioni di massa. Secondo il grande poeta la poesia ha bisogno di riflessione, solitudine, silenzio, discrezione. Nella società di oggi invece abbiamo caos ed “esibizionismo isterico”. Montale forse aveva già capito tutto? Ma forse Montale si sbagliava perché la poesia morirà con l’ultimo uomo. La poesia si estinguerà quando si estinguerà l’uomo. Si tratterebbe perciò forse di aspettare nuove forme di poesia. Aspettiamo con trepidazione perciò.

La poesia contemporanea italiana incide poco sulla realtà.  Siamo realistici: saranno ricordati dai posteri solo coloro che pubblicano con grandi case editrici. Per tutti gli altri calerà l’oblio. Non c’è niente da fare. Difficile stabilire i motivi di questa crisi. Siamo in una civiltà dell’immagine e le parole sono svalutate. Siamo in una società tecnologica e la letteratura non è più mitopoietica. Siamo in una società consumistica e la poesia come sosteneva Pasolini non si può consumare.  Qui in Italia la poesia non vende e le canzoni hanno una maggiore capacità evocativa rispetto alla poesia. Ma è un fatto culturale e non biologico. Non dipende dal rapporto tra feto e suono nella vita intrauterina. In altre nazioni i poeti sono più considerati, anche in grandi nazioni occidentali. Inoltre alla crisi sistemica mondiale si aggiunge la situazione italiana, in cui le librerie chiudono. La poesia nel nostro Paese è la più povera delle arti. Non c’è pubblico. I lettori disinteressati sono pochi. Quasi tutti sono aspiranti poeti. Ma se è vero che i lettori sono pochi va detto che anche i letterati hanno colpe e responsabilità. Mettiamoci d’accordo su una cosa: poeta è una parola grossa, un appellativo importante che spetta a pochi. Di solito per brevità si usa questa parola, ma non basta aver pubblicato con editori a pagamento o aver vinto qualche premio ininfluente per essere definiti poeti. Bisogna essere considerati tali dalla grande editoria e dagli italianisti. Per essere ragioniere bisogna avere un diploma. Per essere considerati a tutti gli effetti poeti bisogna far parte dell’eccellenza. Scriviamo in migliaia. Moltissimi siamo  verseggiatori e pochissimi i poeti. Moravia quando morì Pasolini dichiarò che era morto un poeta civile e che di poeti civili in una nazione ce ne sono al massimo quattro o cinque in un secolo.



Inoltre un altro motivo della crisi della poesia è questo: l'inconscio è colonizzato ormai dai mass media e dai loro condizionamenti. Analizziamo per sommi capi certe dinamiche sociali:


  • Creazione di falsi bisogni (Marx). La tecnologia crea falsi bisogni.


  • Il medium è il messaggio. Nel caso specifico la televisione riesce a fare ipnosi di massa. (McLuhan)


  • Omologazione televisiva (Pasolini-Scritti corsari) che livella verso il basso e uniforma i gusti dei consumatori, anche se in alcuni settori dell'ecommerce siamo diventati "prosumer" (siamo quindi clienti attivi) e vige la personalizzazione degli acquisti.


  • Bolla di filtraggio su internet che isola e rende più asociali (quindi più “innocui” e non pericolosi per il potere). La bolla di filtraggio, creata da algoritmi dei motori di ricerca e dei social media, rafforza anche le nostre convinzioni e fossilizza le nostre conoscenze, bloccando ogni cambiamento di atteggiamento nelle persone.



  • La manipolazione dell'informazione. Nel dizionario di politica curato da Norberto Bobbio alla voce "manipolazione dell'informazione" c'è scritto che può avvenire in tre modi: 1) dicendo il falso 2) omettendo il vero 3) con l'eccesso di informazioni. Con il Coronavirus abbiamo assistito ad una vera infodemia.


  • La comunicazione oggi è sempre meno autentica perché basata su status symbol, icone, loghi, mode a cui deleghiamo di rappresentarci. Spesso la comunicazione è manipolazione allo stato puro.


  • Il sistema produttivo ha bisogno di razionalizzazione e razionalità strumentale. Tutto ciò comporta stress psicologico e disagio esistenziale, la cui unica via di fuga è l’edonismo.


  • Diffusione dei social media che soddisfa l’esibizionismo, il voyeurismo e dà scariche di dopamina, piccole gratificazioni e piccole compensazioni agli utenti, che il mondo là fuori non riesce più a dare.


  • Mass media che fanno da armi di distrazioni di massa (Chomsky)


  • Obsolescenza programmata in modo che non finisca il sistema produttivo.


– Disarticolazione dei diritti dei lavoratori, in modo da renderli più precari, più incerti e più vulnerabili sotto tutti i punti di vista.


  • Populismo e demagogia da una parte ma anche dirigismo dall’altra nel mondo della politica.


  • Aumento costante di sostanze psicotrope che portano ad evasioni momentanee ed illusorie.


  • La desublimazione repressiva descritta da Marcuse, ovvero l'emancipazione sessuale. Per essere artisti, mistici o rivoluzionari invece bisogna sublimare.


  • I luoghi di aggregazione giovanile, almeno qui in Italia, come le discoteche e le curve negli stadi (si veda il libro “Furori” di Nanni Balestrini) che  sono disgreganti socialmente, antropologicamente, se non addirittura psichicamente. All'alienazione lavorativa si aggiunge l’alienazione del tempo libero.


Queste sono le dinamiche sociali in estrema sintesi che agiscono sulla popolazione italiana e visto che questo è il mondo si capisce molto di più sulla crisi della poesia. In fondo se digitate "Claudia Ruggeri" su Google vi compariranno molti più risultati sulla showgirl cognata di Bonolis che della poetessa pugliese, prematuramente scomparsa: questi sono i tempi e così stanno le cose. Alice Sturiale e Giocomo Turra, scomparsi anch'essi prematuramente, hanno migliore web reputation ma in fondo ormai chi li cerca sul web? Eppure erano giovani poeti di belle e sacrosante speranze!

Dove va la poesia italiana di questi ultimi anni? Difficile, addirittura quasi impossibile dirlo. Di sicuro sembra marginale di fronte ai mass media. Non se ne occupano certo “Civiltà cattolica” e neanche il “Corriere della sera”. Le rubriche di poesie spuntano come funghi. Allo stesso modo anche le scuole di scrittura. Ma la  poesia non vende. L’ipertrofia dell’io, le fasi maniacali e ipomaniacali, la smania di grandezza di taluni poeti, effettivi, sedicenti o aspiranti deve trovare altro sfogo. D’altronde chi vi credete di essere…potrebbe obiettare qualcuno? Non siete mica delle rockstar. Ci sono diverse scuole, ma nessuna sembra prevalere. La poesia contemporanea è una nebulosa, una polifonia di voci.  La prima cosa che salta all’occhio è che la metrica non sembra più importante per chi scrive. È molto diffuso il versoliberismo. La stessa neoavanguardia, nonostante l’alto coefficiente intellettuale, era per la cosiddetta metrica informale. Nonostante ciò molti italianisti considerano sempre come requisito essenziale l’endecasillabo con i giusti accenti tonici. Per R.Barthes la poesia era uguale alla prosa+a+b+c. A stava per la metrica, b stava per la rima, c stava per le immagini. Oggi potremmo affermare che la validità di una poesia risiede spesso nella capacità evocativa delle immagini. Tutto è ridotto all’essenziale. Tutto è all’insegna del minimalismo. C’è chi scrive haiku e chi poemetti. È molto in voga la prosa poetica. Ci si può imbattere nelle forme e nei generi più disparati. C’è innanzitutto la poesia di ricerca, che vuole eliminare l’io lirico  ed esorcizzare la soggettività (ma ogni pronome personale non è forse “una convenzione grammaticale” come scriveva Nietzsche?). Essa è costituita dagli eredi della neoavanguardia. Alcuni suoi rappresentanti sono sanguinetiani. Si rifanno al gruppo 63 e spesso anche a Fortini. Cercano lo shock verbale. Talvolta si divertono con cut up e googlism. La stragrande maggioranza però sono dei poeti neolirici, che hanno uno spiccato taglio descrittivo e si rifanno alla tradizione. C’è anche una poesia molto minoritaria che è quella aforistica, epigrammatica. Prende come modelli di riferimento l’ultimo Montale, l’ultimo Caproni, Nelo Risi, gli Shorts di Auden. La poesia civile è quasi scomparsa.  Pensieri (poesia aforistica o sapienziale), corrispondenze e stati d’animo (poesia neolirica), sperimentalismo (poesia di ricerca), poesia civile/sociale possono entrambe avere contenuto di verità. Ma in fin dei conti forse queste catalogazioni lasciano il tempo che trovano. Delle distinzioni per quanto approssimative bisogna però farle. C’è poi una categoria trasversale che è quella dei performer. Organizzano e partecipano ai readings e ai poetry slam. Diciamocelo francamente: molto spesso nessuno contesta i poeti, veri o presunti, sul palco, come ad esempio fece la cosiddetta ragazza “cioè” che contestò nientemeno che la grande Amelia Rosselli a Castel Porziano. Il pubblico oggi è benevolo e spesso ha una percezione totalmente errata di ciò che è poesia.  La comunità poetica sembra di primo acchito accogliente. Apparentemente sembra prevalere la comprensione empatica. Tutti apparentemente sono amici di tutti, salvo imprevisti, idiosincrasie, antipatie viscerali. La competizione, le malignità, gli ostracismi vengono nascosti sotto il tappeto. Il buonismo è d’obbligo. L’importante è essere umanisti e progressisti. Più che la salutare gita a Chiasso proposta da Arbasino per ampliare il retroterra culturale talvolta per emergere poeticamente si deve fare una gita a Milano o a Roma, dove si trovano i grandi poeti e le case editrici che contano. C’è chi sostiene che bisogna incontrare i grandi maestri, carpire i loro segreti. Ma la poetessa Patrizia Valduga ritiene che i poeti si trovano di fronte ad un aut aut impietoso: si frequentano senza leggersi oppure si leggono senza frequentarsi. Terzo escluso. La poesia italiana non ha pubblico. I poeti hanno come referente la comunità poetica soltanto e una ristretta cerchia di critici letterari, formata da degli accademici e sempre più spesso da altri poeti che giudicano. Questo è il gruppo di appartenenza e di riferimento. È quasi impossibile per un poeta moderno essere conosciuto dalla massa, diventare nazionalpopolare, a meno che non sia anche un grande paroliere di canzoni o un grande romanziere. La comunità poetica esprime naturalmente dei valori relativi e mai assoluti. Ci possono essere ad ogni modo sempre ripensamenti, ripescaggi, ricoperte. Non voglio fare un ritratto a grandi linee della comunità in questione. Qualcosa ho già detto a livello culturale ed antropologico. Ora dirò qualcosa dal punto di vista psicologico. Ogni poeta, vero o presunto, si mette in gioco, si smaschera, si mette a nudo. La poetessa e traduttrice Chiara De Luca ritiene che ogni scrittura nasca da un trauma, da una frattura. Talvolta aggiungo io anche da una ferita nell'animo. Insomma chi sta bene vive e non scrive. Si scrive perché qualcosa urge da dentro. Il mistero di ogni scrittura, anche della peggiore, è che rivela l’incommensurabilità della psiche. Quando leggiamo poesia dovremmo cercare di apprezzare il più possibile le forze simboliche e le nuove significazioni  dell’autore. Si tratta di decifrare. Si tratta di mettere tra parentesi i pregiudizi che tutti più o meno abbiamo e valutare i presupposti teorici e la visione del mondo di chi scrive. La poesia infine ha anch'essa delle modalità terapeutiche. Slavson nel 1954 individuava i seguenti mezzi terapeutici sia a livello personale che gruppale: transfert, catarsi, insight, esame di realtà, sublimazione. Male che vada anche la poesia è un atto di civilizzazione e di presa di coscienza. Questo dovrebbero tenerlo presente tutti indistintamente. Prendere in giro e deridere è invece fin troppo facile.

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