Sulle polemiche e sugli attacchi alla persona...

Sulle polemiche e sugli attacchi alla persona...
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In Italia c'è un vizio o un malcostume diffuso secondo cui in una discussione o polemica si finisce sempre per attaccare la persona. Già nell'antichità era una strategia retorica, chiamata argumentum ad hominem. È la cosa più facile. Più impegnativo sarebbe controbattere alle argomentazioni dell'avversario con altre idee e altre argomentazioni. Un modo proficuo per screditare le argomentazioni altrui è tacciare la controparte di essere un qualunquista, un venduto.  Difficile che una persona risponda nel merito, soprattutto in politica. È chiaro che così viene meno il rispetto dell'avversario. Spesso tra i duellanti manca il rispetto reciproco! Quando uno attacca la persona gli spettatori godono perché il dibattito diventa arena, corrida o addirittura esecuzione capitale. E poi tutti si divertono a farsi i fatti altrui: è così bello spiare dal buco della serratura! Tutti vogliono, anzi devono sapere tutto di tutti! Bisogna sempre dare in pasto agli altri indiscrezioni, pettegolezzi, cose private, anche quando non giovano assolutamente al dibattito. Anzi tutto ciò distrae il pubblico.  Screditare l'avversario è il salvagente di chi annaspa, di chi arranca, di chi si trova in difficoltà nella discussione ed è a corto di argomenti. Bisognerebbe riconoscere dignità all'avversario e invece si finisce per trattarlo solo come nemico da abbattere senza pietà e con il massimo della cattiveria, sputtanandolo. Mi sembra che questa cattiva abitudine non sia comunque una prerogativa italica, ma in modo minore sia presente anche in altre nazioni. A ogni modo qui in Italia siamo campioni nella specialità di attaccare il prossimo nella sfera privata. Il moralismo ha sempre la meglio sull'etica e la pragmatica  della comunicazione (a questo proposito consiglio di leggere Habermas), sull'idealismo, sulla democrazia. Smontare le argomentazioni altrui, una alla volta, costa fatica e tempo. In una discussione autentica bisognerebbe cercare insieme la verità e non di avere solo la meglio sull'altro. Ma spesso i duellanti vogliono vedere il sangue. È vero che non viviamo nell'Iperuranio. È vero che un politico non può parlare di onestà ed essere disonesto. È chiaro che un poco bisogna vedere se predica bene e razzola male. È chiaro che un politico deve avere una specchiata moralità e dare il buon esempio, che alle parole devono seguire i fatti, cioè un comportamento non dico consono ma un minimo coerente con i valori che professa. È chiaro che sorge spontanea talvolta la domanda: tu hai questa teoria, ma come ti comporti in pratica?  Eppure questo vizio italico di attaccare subito la persona è diffuso anche nell'arte, nella poesia, nella cultura, in ogni ambito. Screditare la controparte è la cosa più facile e meno impegnativa a livello cognitivo. E succede così che se uno critica a livello generale un filone poetico, si trova criticato negativamente come persona. Finisce così che in ogni ambito invece di rispondere con il pensiero si risponde con le insinuazioni di bassa lega, sui “si vocifera” o “si dice", su possibili difetti, tare, vizi privati altrui. Alla base di questo malcostume c'è un moralismo antiquato e retrogrado, pseudocattolico d'antan. L'Italia democristiana, fascista  e cattocomunista di alcuni decenni fa guardava molto alla condotta di vita, alla moralità privata. C'era la concezione errata e poi smentita dai fatti che un politico casa, chiesa, famiglia e senza scandali potesse governare meglio la cosa pubblica. La moralità privata all'insegna della sessuofobia era allora premessa indispensabile di una buona etica pubblica. I fatti li abbiamo sotto gli occhi e sono inequivocabili: da un costosissimo spending deficit degli anni ‘70 e ‘80, che ha creato solo assistenzialismo, cattedrali nel deserto e un enorme debito pubblico siamo arrivati agli anni della crisi economica e della spending review. Ma l'importante era non dare scandalo privato. Questo retaggio culturale è ancora presente, è un lascito del Novecento.  E questa sottospecie di moralismo  è anche economico. In ogni ambito ti devi sempre giustificare, devi far sapere tutto di te: quanto guadagni? Quanto dichiari? Chi ti mantiene? Come campi? Se per un politico ciò è comprensibilissimo, per altri ambiti è davvero necessario indagare tutto fin nei minimi dettagli? Bisogna per forza mostrare pubblicamente la propria dichiarazione dei redditi e il proprio stato patrimoniale? Se uno campa onestamente,  qual è il problema? È meschino criticare negativamente un comunista perché è di famiglia benestante, ad esempio, e dirgli che dovrebbe spogliarsi dei beni, vivere in povertà e fare come San Francesco. Si critichino invece le sue idee punto per punto, anche perché bisogna vedere da che pulpito viene la predica e di persone veramente integerrime e aliene dai compromessi, dai favoritismi, dalle raccomandazioni in Italia ne esistono poche (anche se naturalmente esistono e hanno la mia stima incondizionata). L'Italia, a questo proposito, è un Paese strano: ci sono alcuni/e che hanno un buon posto di lavoro grazie a raccomandazioni, compromessi sessuali, pubbliche relazioni oppure grazie ai propri padri che hanno un'attività avviata da decenni ed etichettano come incapaci e fannulloni  i disoccupati che non hanno santi in paradiso! Chi siamo noi per giudicare? Bisognerebbe ritrovarsi nella stessa identica condizione della persona che critichiamo e giudichiamo. Altrimenti è solo presunzione e superficialità! Ora inoltre va di moda criticare alcuni scrittori che chiesero favori al duce perché si trovavano in difficoltà economica. Certe cose vanno contestualizzate, analizzate caso per caso, considerando che ogni essere umano ha i suoi difetti ma anche le sue esigenze economiche. Bisogna considerare la  congettura economica e le  contingenze spicciole!  Poi alla fine bisogna considerare che l'istinto di autoconservazione spesso ha la meglio sulle idee e i valori.  E coloro che si riempiono la bocca di  meritocrazia si ricordino che sono anch'essi privilegiati e fortunati ad essere nati nel primo mondo da buone famiglie, che hanno permesso loro di poter studiare! E coloro che si riempiono la bocca di impegno che viene, prima o poi, sempre riconosciuto, si ricordino che talvolta l'impegno non basta e non viene riconosciuto! E coloro che parlano tanto di capacità, che vengono fuori, prima o poi, si ricordino che la psicologia non è una scienza esatta, che il caso e le circostanze hanno un ruolo determinante nel decretare il successo o l'insuccesso di una persona! L'importante è quindi coltivare il dubbio, mantenersi possibilisti e non attaccare la persona, cosa più impulsiva e più incivile, che si possa fare.

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