Sul patriarcato, su noi uomini, sulla violenza alle donne...

Sul  patriarcato, su noi uomini, sulla violenza alle donne...
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Di fronte a un rifiuto, di fronte a una separazione, di fronte a un addio ci sono tre  strade sostanzialmente: la regressione, la crescita personale o rimanere gli stessi, aspettando che passi la tempesta. Nel primo caso l'uomo regredisce psicologicamente, si comporta come un adolescente violento, cerca di esercitare la vendetta. Nel secondo caso considera l'addio come un'opportunità per evolversi, quindi come un'esperienza formativa. Nel terzo caso non  matura, non si mette in discussione, ma è innocuo.  Comunque il terzo caso lo ritengo altamente improbabile, dato che certi momenti topici della vita di ognuno segnano tutti, non lasciano indifferenti nessuno, a meno che non si sia anafettivi, privi di orgoglio, di autostima e di amor proprio. Ci sono uomini che di fronte a molti no, a molte delusioni cocenti, a molti addii, sublimano la loro sofferenza psichica, cantano l'assenza, la separazione, la fine di un amore, diventando artisti, pittori, scrittori, intellettuali. Iniziano perciò una riflessione su sé stessi, sulle donne e finiscono per creare un loro mondo fittizio. Si pensi al Canzoniere di Petrarca che Vittorio Sgarbi ha così riassunto in una sola frase: "Dite a Laura che l'amo". Dante e Petrarca non sono riusciti ad amare Beatrice e Laura, eppure le hanno rese immortali. I bambini crescono e maturano grazie ai no dei genitori; un neonato deve anche accettare che non sempre la madre gli dà il seno per poppare. I bambini imparano tramite i dinieghi che non tutto è permesso, che non possono avere tutto. Per Freud è tramite il principio di realtà e non tramite il  principio di piacere che si diventa uomini adulti responsabili.  Ma nel caso della regressione (e a tutti, anche ai più sani, ai più evoluti, ai più colti accade talvolta) gli uomini attivano quella parte istintuale più arcaica, quella mentalità maschilista, che si rifà al sistema patriarcale. Non c'è affatto da stupirsi, perché il  patriarcato ha dominato per secoli e secoli e alcuni elementi di esso si respirano fin da piccoli nell'aria quasi, dato che vengono tramandati di generazione in generazione, di padre in figlio. Sono quegli elementi della cosiddetta mentalità comune, che non si dicono pubblicamente, che non si dichiarano esplicitamente, ma che sono ancora oggi vivi e vegeti in molti uomini adulti e in molti giovani. Così alcuni fanno presto a passare dall'amore per una donna idealizzata e angelicata a ritenerla una poco di buono. È l'attivazione del cervello rettile da parte dell'uomo deluso, ferito, abbandonato, che trova piena realizzazione nella mentalità patriarcale. Di fronte a un addio ecco che alcuni si rifugiano, trovano riparo in una cultura consolidata e tramandata per secoli. La mentalità patriarcale dà loro conforto, è un farmaco per la loro angoscia, è uno strumento di difesa, che in men che non si dica ferisce e offende la donna. È un ritorno alle origini, che dà sicurezza e toglie ansietà. In fondo è facile pensare che se per secoli gli uomini pensavano e agivano in quel modo, quello era il modo giusto. È facile pensare che la modernità abbia corrotto le donne, le abbia portate sulla cattiva strada. Se per secoli hanno sempre fatto così,  perché cambiare? C'è molta resistenza al cambiamento.  La resistenza al cambiamento è psicologica a livello individuale soprattutto e culturale a livello collettivo.  Cambiare significa mettersi in gioco, ripensare sé stessi dal profondo. Eppure anche un determinista economico come Marx riteneva che la civiltà, il progresso sociale passassero anche da un miglior rapporto tra uomini e donne. La donna cerca il maschio che la protegga e talvolta sfortunatamente trova un aguzzino, un mostro. Quella forza fisica con cui pensava che il suo uomo la proteggesse, finisce per ritorcersi  contro. Talvolta l'uomo alfa, il micio-macho si tramuta in un mostro. Si inizia col dire: "ah le donne di oggi!" oppure "non ci sono più ragazze serie" o "oggi sono tutte troie". Si finisce con la reificazione della donna e con la violenza. Sembrerebbe un paradosso di primo acchito che non sono i pretendenti rifiutati o gli sconosciuti ad ammazzare le donne ma mariti, fidanzati, ex partner. Eppure è logico:  questo dipende dalle grandi aspettative deluse, dell'investimento psichico, dalle difficoltà economiche, dai figli contesi. Sono proprio gli uomini che hanno amato o che ritengono di amare le donne che le uccidono. Non si tratta di raptus, poiché quello del raptus è un luogo comune, un falso mito, un'invenzione di comodo. Qualsiasi psichiatra vi dirà che il raptus non esiste scientificamente.  È più conveniente pensare che un probo lavoratore e un onesto padre di famiglia in un raptus uccida l'amata moglie con cui aveva dei figli. La realtà è più complessa e difficile da accettare. La verità è che siamo quasi tutti uomini retrogradi, che non accettano il mutato rapporto tra i sessi e che può capitare che qualcuno di noi, più disturbato psichicamente, nel bel mezzo di un suo parossismo diventi violento. Accade di frequente e la colpa è esclusivamente di noi uomini, che rifacciamo subito nostra la mentalità patriarcale quando siamo in difficoltà con le donne. Donne non credete all'uomo femminista! Ammettiamolo candidamente, spudoratamente che il 90% degli uomini di fronte a un no o a una separazione pensano e dicono della donna amata che è una troia e gli amici danno loro manforte e nessuno prende le difese della donna. Le donne poi di fronte alla violenza degli uomini si autocolpevolizzano, pensano veramente che non vada qualcosa in loro, poiché anche loro hanno interiorizzato alcuni elementi, alcuni concetti base del patriarcato. Ci vorrebbe maggiore autocritica da parte degli uomini  e maggiore educazione fin dai primi anni di scuola. Ci vorrebbe anche un maggior credito sociale, una maggiore delega alla psicologia, perché molti uomini assassini hanno prima di tutto la colpa di non essersi fatti aiutare da uno psicologo, uno psichiatra, uno psicoterapeuta. È in uno studio di uno specialista che devono confessare le loro ossessioni, la loro malattia, la loro violenza. Ci vorrebbero anche dei gruppi di autoaiuto, gestiti da uno specialista. È quello il primo passo, ovvero la presa di coscienza, il riconoscere il proprio lato oscuro, prima di distruggere la vita della donna e la loro.  È quella la  prima colpa di molti uomini.

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