Pasolini, gli scontri di Pisa, le mutazioni antropologiche...

Pasolini, gli scontri di Pisa, le mutazioni antropologiche...
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Pasolini negli “Scritti corsari”  trattava della mutazione antropologica dovuta all'omologazione televisiva. Pasolini aveva mutuato questo termine dalla biologia; per lui le variazioni dei costumi e dei modi di essere degli italiani le decidevano nei consigli di amministrazione e le fissazioni avvenivano quotidianamente tramite i programmi e le pubblicità televisive. Pasolini aveva perciò capito meglio di molti sociologi della sua epoca il bombardamento massmediatico.  Ne è passata di acqua sotto i ponti. A volte penso che Pasolini è ormai datato, che vada letto e superato (non solo sotto l'aspetto intellettuale, artistico ma anche da quello meramente pornografico): un poco come la concezione del romanzo di Milan Kundera; bisogna leggere il Milan Kundera saggista, ma poi bisogna evolversi, andare oltre, per quanto le argomentazioni di Kundera siano convincenti e la sua scrittura accattivante. Lo so che fa figo, è di moda, è culturalmente vincente dire che Pasolini sia stato unico, che dopo di lui non ci saranno altri, che aveva capito tutto. In buona parte è anche vero, ma in quest'epoca di desacralizzazione mi pare che Pasolini sia stato troppo sacralizzato, anche se in un modo quasi laico. È vero che viviamo in un'epoca in cui l'unica fede vera rimasta è quella del materialismo economico, storico, scientifico,  sessuale. È vero che in Italia una parte consistente delle persone di presunta fede in realtà sono prefiche e bigotte, che sono all'atto pratico più superstiziose che autenticamente credenti. È vero che anche i più credenti rivolgono a Dio delle preghiere interessate invece di pregare per l'intero genere umano, come vorrebbero le persone con la stimmate o come vorrebbe la Madonna, secondo quel che riportano i veggenti. È vero che viviamo di falsi idoli, che siamo “figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro”, come cantava Battiato. Fatte tutte queste premesse,  attenzione però  a divinizzare Pasolini, perché si rischia di idolatrarlo ancora una volta e di rendere la sua poetica un feticcio. Non credo che Pasolini volesse diventare un'icona pop dei nostri tempi. Sono sicuro che si rivolterebbe nella tomba.  Di Pasolini bisogna soprattutto discutere, perché è il modo migliore di ricordarlo, di capirlo, di apprezzarlo. Non solo ma un vero maestro è contento quando i suoi allievi non rimangono degli scolaretti pedanti,  ma diventano autonomi. Pasolini è un maestro, ma poi bisogna pensare con la propria testa, bisogna andare con le proprie gambe; non si può rimanere succubi a vita della genialità di Pasolini. Il pensiero pasoliniano va ripreso ma anche aggiornato e se è necessario,  bisogna anche andare contro a Pasolini. E mi fa specie quando alcuni tirano per la giacchetta Pasolini a sproposito! Per quanto riguarda gli scontri di Pisa ci sono stati alcuni di centrodestra che hanno dato dei figli di papà o dei figli di radical chic agli studenti coinvolti, ricordando Pasolini. Ma oggi non siamo più nel 1968, l’università è diventata di massa e c'è un diritto allo studio inimmaginabile rispetto ai tempi di Pasolini.  Il professor Angelo d'Orsi, illustre saggista e allievo di Norberto Bobbio, ha dichiarato che i poliziotti invidiano quei ragazzi perché loro non hanno potuto studiare. Oggi non è più come ai tempi di Valle Giulia in cui i poliziotti erano poveri, ignoranti e gli studenti dei borghesi privilegiati. A Pisa c'erano dei normalisti, tutti studenti d'eccellenza con un Q.I medio di 180 punti, che non avranno alcuna difficoltà a trovare un ottimo lavoro, ma c'erano anche studenti del liceo artistico e universitari non di eccellenza, che metterebbero la firma, una volta laureati, a guadagnare quanto un poliziotto e ad avere un contratto a tempo indeterminato, come un poliziotto.   Quindi si potrebbe dire che anche qualche studente potrebbe invidiare i poliziotti. Diventare poliziotti oggi in gran parte dei casi non è una scelta dettata dalla povertà,  dall'ignoranza o dall'ideologia. Essere poliziotti in buona parte dei casi è una scelta di vita  che prescinde da tutto ciò. Inoltre ci sono poliziotti diplomati e laureati. Davvero una chiave di lettura pasoliniana o antipasoliniana è totalmente errata e porta fuori strada; è una chiave di lettura antiquata e deformante, che porta a travisare i fatti, per quanto a mio avviso quei poliziotti di Pisa abbiano sbagliato. Ritorniamo alla questione della mutazione antropologica.  Ma poi ha senso parlare di mutazione antropologica o l'uomo dall'età della pietra ad oggi è rimasto lo stesso? Potremmo ricordare che, nonostante l'evoluzione culturale, in questi millenni l'uomo dal punto di vista neurale è rimasto lo stesso: insomma siamo sempre stati homo sapiens, anche se, come scriveva Spencer, tutto ciò che è a posteriori per la specie è a priori per l'individuo. Insomma siamo dei nani sulle spalle dei giganti! Prima dell'omologazione televisiva ci sono state delle scoperte scientifiche e tecnologiche, che hanno mutato “antropologicamente” (prendiamo per buono questo termine pasoliniano)  i nostri avi: la stampa, l'orologio, l'illuminazione artificiale, la radio, il telefono, la penicillina e altre ancora. Ma quante mutazioni antropologiche, dovute a scoperte scientifiche e tecnologiche,  a rivoluzioni culturali, a grandi cambiamenti nei costumi sono avvenute in questi ultimi anni? Si pensi solo a Internet, alla diffusione del porno di massa, ai social, al Metoo, alla cancel culture, alla globalizzazione,  al post-femminismo, al movimento Lgbt, alla società multietnica,  all'intelligenza artificiale. È molto difficile restare al passo con i tempi. Io stesso faccio fatica: talvolta penso di essere rimasto indietro, penso di essere ancora un uomo del Novecento e di essere stato catapultato casualmente nel 2024. Talvolta mi sforzo, ma non riesco. Forse sono rimasto davvero indietro. Ad esempio ascolto alcuni cantanti, alcuni rapper e trapper che vanno per la maggiore, a cui le ragazzine farebbero di tutto e io non capisco, non ci vedo un minimo di talento in costoro, perché io sono rimasto ai cantautori d'un tempo. Forse sono un uomo d'un altro tempo, di un'altra epoca. Ma niente paternalismo giovanile, del tipo “Ok boomer”: capita a tutti di invecchiare e di rimanere ancorati ai tempi della propria gioventù. Talvolta penso che ci sia un grande divario tra me e i giovani d'oggi, che determina incomunicabilità e incomprensione reciproca o quantomeno diffidenza. E ritornando a Pasolini alcuni ritengono che Pasolini ce l'avesse con la televisione e con la maggiore libertà femminile perché erano tutte cose che gli toglievano giovani maschi sottoproletari, che riducevano la possibilità di trovare ragazzi di vita nelle sue notti brave. A volte spero, nelle critiche che faccio alla società contemporanea, di non essere troppo rancoroso e personalistico, come a mio avviso era Pasolini. Ritornando ai grandi cambiamenti, tutto ciò mi ricorda il verso di una canzone di Gaber: “La tecnologia ci ha stravolto la vita”. Quanti cambiamenti epocali ci sono stati in questi ultimi anni? Tutto è avvenuto nel giro di pochi decenni. Certe volte ho l'impressione che la storia abbia accelerato notevolmente in questi ultimi anni. Ma forse è solo il segno tangibile che sono vecchio, almeno di spirito, anche se non ancora anagraficamente.

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