Beppe Grillo ha fatto una scelta: ha scelto di difendere suo figlio dall'accusa di stupro insieme ad altri tre ragazzi (è bene precisare che per il momento non c'è stato ancora un rinvio al giudizio). Ogni genitore lo farebbe e non baderebbe alle eventuali conseguenze. Ogni genitore, in caso di processo, difenderebbe il proprio figlio nella sede opportuna e con il proprio avvocato. E lo farebbe anche nel caso in cui intimamente sapesse della colpevolezza del proprio figlio: quello che in sociologia si definisce "familismo amorale". Ma Beppe Grillo non è un genitore qualunque e non ha atteso i tempi e la sede opportuna. Ha usato l'enorme potere mediatico di cui dispone e in un video ha fatto lui l'arringa, assolvendo il figlio, attaccando i magistrati, sminuendo le dichiarazioni di una ragazza e arrogandosi il diritto di decidere il tempo giusto che debba intercorrere tra una violenza subita e la denuncia da parte della vittima, dimenticandosi, forse, dei meccanismi psicologici che scattano a seguito della violenza. In due minuti di video ha delineato una concezione della donna come strumento del divertimento maschile, ha ribaltato il suo sentimento giustizialista, per cui il familiare di un politico diventa a priori buono e i magistrati e giornalisti sono i cattivi. In questo modo ha oltrepassato i confini della vicenda riguardante il figlio rivolgendosi con la sua invettiva a una comunità di simpatizzanti e di militanti fatta da milioni di persone. E l'effetto è risultato controproducente. Indipendentemente da come si concluderà questa storia, con un processo o un'archiviazione, due sono i soggetti che rimarranno segnati dall'intervento di Grillo: il figlio e il Movimento Cinque Stelle. Il figlio, che avrebbe dovuto avere la prontezza di fermare il padre dal suo intento, in caso di processo o di archiviazione verrà colpito dall'ombra del genitore potente che ha affermato concetti del tutto opinabili di fronte all'opinione pubblica. Riguardo al Movimento che sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia l'attacco di Grillo è diventato un caso politico finito in Parlamento mettendo in difficoltà i parlamentari pentastellati che attraverso il silenzio o la difesa del loro garante sono diventati attaccabili da parte delle altre forze politiche. Nel ginepraio giuridico, oltre che politico, innescato dalla riforma dello statuto (abolizione del Capo politico, l'istituzione del Comitato direttivo di 5 persone) e dallo scisma dall'Associazione Rousseau (senza la cui piattaforma il direttivo non può essere eletto) e che sta rallentando il percorso di rifondazione del Movimento ad opera di Giuseppe Conte, il video cozza con il progresso in materia di violenza sulle donne (il "Codice Rosso", strumento per una maggiore tutela di donne e soggetti deboli che subiscono violenze e maltrattamenti, fu proposto e votato dai cinquestelle nel 2019) e fa macerie delle battaglie giustizialiste del Movimento stesso. Nonostante tutto ciò la scelta di Beppe Grillo è stata chiara: suicidare il Beppe Grillo politico per amor filiale. E a questo punto vale la pena per il Movimento seguire la stessa strada del suo garante?