Sul senso della sconfitta e... polemicamente buon Natale...

Sul senso della sconfitta e... polemicamente buon Natale...
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Non mi piacciono i locali in, frequentati dai fighetti, dalla cosiddetta gente giusta e perbene. Mi sento fuori luogo. Mi sento un pesce fuor d'acqua. Non mi vanno le loro battute argute, i loro vestiti firmati, le loro berline o i loro suv parcheggiati davanti, i loro tecnicismi, i loro linguaggi settoriali,  il modo in cui parlano di soldi e di lavoro: insomma cerco di evitare i professionisti, gli imprenditori e la gente arrivata in genere. Fatico anche a parlare con questo tipo di persone e se proprio devo farlo, perché obbligato socialmente, butto lì a caso qualche frase di circostanza, annuisco alle loro affermazioni, faccio finta di condividere le loro affermazioni. Non ho più voglia di mettermi contro. Voglio essere solo intimamente contro. Sono contro dentro di me.  Sono tutta gente con le loro convinzioni troppo radicate, che non è possibile confutare, né sradicare, dato che costoro pensano di avere la verità in tasca. Non mi va assolutamente bene il loro darwinismo socioeconomico (chi è valido è visto e preso dalle aziende, nel pubblico c'è tantissima gente che non fa niente, se un politico è valido diventa senatore oppure onorevole, etc, etc),  la loro certezza assoluta nel fatto in sé, il loro modo di giudicare gli altri (tizio e caio sono dei cretini, sempronio è una testa di cazzo che non capisce niente, etc etc). Purtroppo però a volte non posso esimermi dal passarci un poco di tempo con questi personaggi e non mi rovinano la giornata (al massimo mezz'ora, un'ora di tempo). Non mi piace che per loro chi è intelligente si arricchisce. Non mi piace la loro certezza assoluta che chi scrive, se è valido, debba per forza essere un bestsellerista. Non mi piace il loro antiumanesimo, dato che costoro non leggono libri e considerano la  lettura una perdita di tempo. Non mi piacciono il loro senso del decoro e la loro rispettabilità. Non mi piace il loro modo di essere formalmente cattolici, ma di fatto, nella pratica quotidiana degli anticristiani.  Non mi piace il loro conformismo. Non mi piace la loro adorazione di falsi idoli e falsi miti, propinati dai mass media e dallo show business.  Rileggendo Pavese e pensando al suo mondo di colline, mi ha colpito molto in un suo romanzo l'espressione "avere la luna nel pozzo". Ebbene questa è tutta gente che ha la certezza di un benessere garantito, che ha, come si diceva un tempo, "la luna nel pozzo". Le loro uniche paure sono la malattia e la morte, loro e dei propri cari. Ma anche gli arrivisti sfegatati arrivano al punto di non ritorno, alla morte e allora i traguardi materiali serviranno a ben poco. Forse ho sbagliato io che da giovane amavo la poesia e ho continuato ad amarla anche dopo. Forse ho sbagliato a non prendermi la tessera di partito, a non stare dalla parte giusta. Forse ho sbagliato a studiare, a leggere. Forse ho fatto tutte le scelte sbagliate nella vita. Ma se tornassi indietro, le rifarei. Il mondo è delle persone pratiche, util. Però non mi sono pentito, neanche di dire in faccia ciò che pensavo a certa gente. Mi chiedo se ho sbagliato tutto io oppure se questo mondo cosiddetto produttivo è sbagliato.  Coltivo il dubbio; non voglio fare come loro che hanno certezze granitiche, anzi inossidabili. Io non sono certo di niente. Oh certo loro sono persone che creano posti di lavoro, che lavorano come matti, che "pagano" le tasse, che mantengono la loro famiglia. Insomma il mondo va avanti grazie a loro! Io invece sono sempre più dell'idea che il mondo vada alla malora grazie a loro, che sono la nostra classe dirigente! Se dovessi davvero fare un ritratto della classe dirigente italiana, sarebbe impietoso. Rincuoratevi, se non vi vanno bene queste mie parole: per dirla alla Tenco "in un mondo che sa tutto" io non so fare niente e per dirla alla Montale "il bandolo alla matassa" non l'ho mai trovato! Adoro invece quei posti, quei bar e quei locali, dove posso percepire il senso di sconfitta degli astanti. Mi sento a mio agio tra gli alcolizzati, i ludopati, i tossicodipendenti, i falliti, i frustrati, i precari, i disoccupati, i poveri, quelli che alla terza settimana del mese hanno già finito i soldi. Mi piacciono i loro "boh", "non so", "cioè", le loro mezze frasi, le loro frasi talvolta sconnesse. Mi piace il loro essere scoglionati, la loro rassegnazione; l'unica loro fede è nella legge di Murphy, cioè se qualcosa può andare male, sicuramente accadrà. Io non ho trovato il mio posto in questo mondo, ma so che sto meglio in questi angoli di mondo, frequentati dagli sconfitti, probabilmente perché anche io sono uno sconfitto. Preferisco un cipiglio o un insulto da uno sconfitto che un sorriso di circostanza di un arrivato. Questione di gusti! Mi sento più a mio agio in quel contesto. È quello ormai il mio habitat naturale, perché il mio intuito mi dice che è quella la gente vera, autentica. Qualcuno dirà che io ho di che vivere e sono nel "ventre della balena", citando Orwell. Dica pura. Mi critichi pure. Anche De André aveva di che vivere (era molto, ma molto  più ricco di me. Anzi io non sono affatto ricco) ed era contro il sistema. E con lui molti altri. Se guardo la storia della cultura, vedo che sono in ottima compagnia,  perché persone degne di ogni stima vivevano sulla pelle queste mie stesse contraddizioni.  Alcune di queste persone perfettamente integrate e timorose di Dio farebbero carte false per vedermi in uno stato di estrema indigenza e forse un giorno ci riusciranno. Ma proprio a me che non sono di chiesa viene da ricordare che il loro non è un vivere da cristiani, che la loro religiosità è vuota, è solo basata sull'apparenza, dato che sperare o fare in modo che al prossimo vada sempre peggio e goderne non è da persone di fede. Ma probabilmente sono io quello sbagliato e sono le mie idee totalmente sbagliate. Hanno ragione loro: io sono tardo di mente, non ho concluso nulla nella vita, sono solo un inutile pseudo-intellettualoide pusillanime, mentre loro tengono in gran considerazione quella che ritengono la vera intellettualità, ovvero dei preti, che li confortano, e così loro li ripagano con laute donazioni alla parrocchia. Non vi preoccupate: per me si spalancheranno le porte dell'inferno, mentre voi avrete l'anima salva! Anzi dirò di più: non lo voglio nemmeno Dio, se è con voi, se sta dalla vostra parte. Come non ricordare Brecht? "Ci sedemmo dalla parte del torto, perché gli altri posti erano tutti occupati". La letteratura,  la poesia insegnano il senso della sconfitta, insegnano ad amare la sconfitta e gli sconfitti. Si inizia con "carmina non dant panem" e si continua con il disadattamento, l'inettitudine dei grandi romanzi del Novecento. Ecco perché sono un fallito dalla parte dei falliti. Sono un perdente dalla parte dei perdenti; sono un umanista moderno dalla parte degli umanisti e dell'umanesimo; sono dalla parte di chi non sceglie o sceglie la parte sbagliata; sono contro e dalla parte di chi sta contro; sono contro i luoghi comuni. Il senso della sconfitta è la morte sociale, lavorativa e perciò è l'anticipazione della morte fisica. Per chi osa troppo ed è troppo pieno di sè c'è sempre la morte, perché siamo tutti carnali e mortali. Il senso della sconfitta è l'autentico senso della morte e perciò della vita. Il senso della sconfitta è il modo più autentico di intendere la vita e la morte, anche cristianamente parlando. Infine vorrei ricordare una cosa a tutti i cattolici praticanti, che hanno a cuore la loro salvezza ultraterrena: Dio salvò un ladrone e Maria Maddalena, non i farisei. Percio non giudicate gli altri in modo troppo affrettato. Potete comunque sempre salire sul vostro sicomoro per vedere Gesù, fare come Zaccheo; avete anche voi molto più di una speranza,  dato che Dio salvò anche un pubblicano. E per ultimo buon Natale agli arrivati e agli sconfitti, insomma a tutti!

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