In Italia secondo l'ISTAT nel 2021 sono state pubblicate circa 91000 opere, di cui 14000 tra romanzi e racconti (se si considera il fatto che i racconti sono un genere poco "appetibile" editorialmente parlando, i romanzi sono la stragrande maggioranza di questa quota parte). Tanti vogliono scrivere il romanzo della loro vita, perché pensano che la loro vita sia degna di essere raccontata e che altri possano/debbano far tesoro della loro esperienza. Eppure se è vero che tutte le vite sono degne di essere vissute, non tutte sono degne di essere romanzate. Ma tanti pensano di avere qualcosa da dire o meglio da scrivere. È il coronamento di un grande sogno per molti pubblicare un romanzo. Alcuni dicono di aver scritto un romanzo e ne vanno fieri. Magari hanno pubblicato un "romanzo" con un microeditore! Il problema maggiore inoltre non sarebbe quello di scrivere un solo romanzo, ma per essere considerati dei veri scrittori bisognerebbe avere un pubblico e pubblicare un nuovo romanzo almeno ogni due anni; infatti il mercato editoriale richiede sempre più degli scrittori stakanovisti: insomma gli aspiranti romanzieri non sanno quello che attende loro in caso di successo. Se un tempo grandi scrittori potevano fare gli artigiani, dedicarsi maggiormente alla qualità e pubblicare nella loro vita tra i cinque e i dieci romanzi, oggi l'editoria in caso di buon riscontro di vendite obbliga lo scrittore a battere il ferro finché è caldo e di conseguenza a una sorta di produzione industriale di romanzi. Come se non bastasse a quanto pare il 30% dei libri in Italia non vende una copia: questo dato dovrebbe far riflettere e dovrebbe mettere in guardia da facili illusioni. Nonostante ciò alcuni dicono di aver scritto un romanzo e su questo bisognerebbe intendersi: basta che l'autore definisca la propria opera un romanzo o ci vuole la pubblicazione presso un grande editore e/o il consenso della critica e/o il riscontro del pubblico perché venga definito tale? Molti si considerano scrittori, ma in realtà sono solo scriventi, e comunque la convinzione in questi casi è una cosa indispensabile. I romanzi però sono un genere che vende. Questo è un fatto incontrovertibile e incontestabile. I lettori vogliono i romanzi. E poi molti pensano che il romanzo sia l'esame definitivo, la vera prova del nove di un autore. In definitiva un autore dovrebbe tentare un'opera di ampio respiro. C'è la convinzione assai diffusa che scrivere un romanzo sia più difficile che scrivere articoli, saggi, racconti, poesie. Quindi secondo questa scuola di pensiero un creativo è produttivo e capace solo se scrive romanzi. Secondo molti il romanzo è il non plus ultra della scrittura, perché è da esso che si vedrebbe la tenuta di un artista, la sua inventiva, la sua capacità di narrare e di descrivere. Ma davvero per dimostrare di saper scrivere bisogna pubblicare romanzi? A tal riguardo va ricordato che ad esempio poesia deriva dal termine greco poieîn, che significava per l'appunto produrre, fare, creare. Gli antichi greci avevano perciò un'altra concezione della creatività artistica. Una volta discussi in modo acceso con una persona che mi disse: "stai zitto te che non sei capace neanche di scrivere un romanzo". A dire il vero io oggi ho scritto più di 1000 articoli (spesso di approfondimento culturale, pubblicati sul web), 1500 aforismi, 200 racconti, poco più di 1000 componimenti poetici (o aspiranti tali), ma non ho mai voluto scrivere un romanzo. Non ho mai voluto o non ho mai potuto? Chissà?!? Diciamo che mi sono sempre autocensurato. Ogni volta che ci provavo, cestinavo tutto, perché mi mettevo a rileggere "Se questo è un uomo" di Primo Levi e "Il giovane Holden" di Salinger, e mi dicevo tra me e me che non era proprio il caso di continuare. Se forse tutti prendessero come termini di paragone certi grandi romanzi memorabili, molto probabilmente non ne farebbero di niente delle loro velleità artistiche. Insomma bisogna avere un minimo di senso del limite, bisognerebbe saper misurare le proprie forze per dosarle al meglio e sapersi valorizzare, magari in altri ambiti. Ma poi bisognerebbe stabilire quale romanzo scrivere! Di nicchia o mainstream? Tradizionale o sperimentale? Masscult o midcult? In Italia oggi vanno di moda il genere sentimentale, il thriller, il giallo, l'autofiction, la non fiction. Ma ci sono anche critici letterari che ritengono che sarebbe meglio scrivere romanzi senza trama. Per loro un romanzo si vede soprattutto dallo stile, dal talento, dalla caratterizzazione dei personaggi, dell'ambientazione, dalle felici intuizioni di un autore. Alcuni pensano che sia proprio da un romanzo "destrutturato" che si veda la capacità di scrittura, mentre altri più tradizionali ritengono che la trama sia l'essenza stessa di un romanzo. Insomma per parte della critica letteraria un romanzo necessita di un grande studio sulla lingua e sulla sperimentazione. Anche qui bisogna stabilire quale significato dare alla parola "romanzo": deve per forza di cose raccontare una storia oppure questa è una costrizione ingombrante che riduce di molto la libertà creativa? È forse un'autolimitazione dovuta alla tradizione o un'imposizione dovuta a esigenze del mercato oppure a entrambe le cose? Bisognerebbe perciò considerare non cosa si scrive e se la trama sia avvincente o meno, ma come si scrive: la questione è tutta qui. Infine c'è chi ha già decretato la morte del romanzo, poiché questa è la civiltà dell'immagine, la soglia di attenzione delle nuove generazioni è molto bassa, leggere anche libri di intrattenimento e di evasione necessità di un tempo libero, che molti non hanno o che non vogliono più dedicare nella lettura di un romanzo. Per Milan Kundera il romanzo è soprattutto complessità. E al mondo d'oggi chi ha più voglia di lambiccarsi il cervello nel tempo libero e addirittura spendendo dei soldi per l'acquisto di libri? E poi siamo sicuri che i romanzi di oggi possono dirci qualcosa di più e di nuovo su noi stessi, sul mondo, sul senso della vita, sulla morte, su Dio? Forse rispondere a questa domanda è il vero banco di prova di uno scrittore.