Su Dio, religione, etica...

Su Dio, religione, etica...
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La massima dei Vangeli “ama il prossimo tuo come te stesso” francamente non è da tutti realizzabile. Buona parte dei cattolici non ama il prossimo come sé stesso e giudica anche gli altri. Eppure San Paolo disse: “io non giudico nessuno, nemmeno me stesso”. La scommessa di Pascal si basa sul concetto di “utilità attesa”. Ma possono nascere dei dubbi perché -se Dio non esiste e io mi comporto secondo i principi cristiani- finisco per rinunciare inutilmente a diversi piaceri della vita. Anche diventare cristiani a causa di Pascal è un atto di rinuncia (nel cristianesimo è sempre presente una certa mortificazione del corpo). È possibile che per comportarsi in modo morale bisogna sempre ricorrere all’esistenza di Dio ed alla punizione divina? Forse senza un uomo timoroso di Dio non è possibile una morale perché anche Aristotele per la sua etica ha avuto bisogno di ricorrere a concetti come quelli di anima e di Dio (“pensiero di pensiero”). Secondo il filosofo greco l’uomo può raggiungere la felicità solo se contempla perché ciò lo rende simile a Dio. Anche Platone e Socrate hanno dovuto ricorrere al concetto di anima (tutto ciò ancora prima che esistesse il cristianesimo). Come se non bastasse il cattolicesimo da taluni è considerato sessuofobico e dà molta importanza ai cosiddetti peccati sessuali, ritenendoli spesso gravi. Altra cosa su cui nutrire dubbi è la convinzione che l’uomo abbia sempre il libero arbitrio. Siamo così sicuri che ogni uomo in ogni frangente della sua vita abbia libertà di scelta? Questa è in fondo l’antica disputa tra libero arbitrio e determinismo. Se un uomo si è suicidato, per la religione cattolica, andrà all’inferno perché ha scelto di morire. Ma per la moderna psichiatria il suicida non sarebbe che un uomo depresso e la depressione non sarebbe altro che una malattia della psiche, determinata da un deficit di un neurotrasmettitore (la serotonina). Il suicidio sarebbe spiegabile dal punto di vista psichico. Sarebbe l’ora quindi di pensare che in fondo siamo più determinati di quello che si pensava un tempo: determinati non solo dall’ereditarietà, ma anche dall’ambiente -per dirla in termini psicologici- oppure per dirla in termini filosofici- non solo dalla natura, ma anche dalla cultura. Inoltre per alcuni filosofi l’uomo è determinato dal caso; per altri dall’istinto; per altri ancora dalla necessità storica.

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Possono scaturire delle controversie anche sull’etica cristiana fondata sostanzialmente sull’intenzione e sul perdono. Me ne importa ben poco- se subisco un grave danno- di sapere quale fosse l’intenzione di chi me lo ha procurato. Il perdono poi è una cosa talmente intima e personale, che non dovrebbe essere mai menzionato. È da ritenere in fin dei conti che le persone non facciano del male per un’analisi costi/benefici e a causa della “genealogia della morale”: chi ha ricevuto un’educazione adeguata ha impresso nella mente fin dalla tenera età il senso di colpa, la vergogna e la pena. Le persone educate quindi non fanno del male per non stare male con sé stessi e per non stare male con gli altri. E poi perché credere nell’etica della reciprocità e nella regola d’oro espressa sia in forma positiva (“fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”) che in forma negativa (“non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”)? Sono norme di facile comprensione, ma di difficile attuazione. Possono esserci dei dubbi anche sull’imperativo categorico kantiano perché pochi hanno un senso del dovere sufficiente per mettere in pratica i principi morali. La stragrande maggioranza delle persone –per dirla alla Kant- forse agisce in base a degli imperativi ipotetici, cioè ragiona e si comporta in modo utilitaristico. Uno degli imperativi categorici di Kant è “agisci in modo da trattare l’uomo come un fine e non come un mezzo”. Ma talvolta nella vita quotidiana siamo machiavellici. Inoltre possiamo dubitare sulla teoria della giustizia di Rawls. Nella vita di tutti i giorni alcune condizioni come “la posizioni originaria” e “il velo d’ignoranza” non esistono nella maniera più assoluta. Infine è da dubitare sull’ “etica della responsabilità” di Jonas, secondo cui l’uomo dovrebbe non solo non danneggiare il prossimo, ma pensare anche ai posteri e al destino della biosfera. Sinceramente non siamo in grado di badare a noi stessi (figuriamoci quindi se siamo in grado di badare ai posteri). Infine le domande che ci possiamo porre sono le seguenti: continuerà ad esistere in futuro l’etica cristiana considerando nella società odierna il “disincanto” di Weber, la secolarizzazione e la morte di Dio? O forse la religione continuerà ad esistere perché in fondo non è facile tracciare una linea di demarcazione tra etica e metafisica? È possibile un’etica priva di cifre trascendenti? È possibile cioè un’etica non prescrittiva, che si possa basare su dei valori laici e che non contempli la punizione divina? È possibile un’etica laica, che permetta alle persone di comportarsi bene senza lo spauracchio dell’aldilà? C’è bisogno sempre di un’educazione religiosa non priva di una certa violenza psico-sociale (penso alla “genealogia della morale” e alla formazione del Super-Ego di Freud)? L’etica laica è forse un’etica per pochi? Anche il principio “la mia libertà finisce dove comincia la vostra” di Martin Luther King forse per essere applicato ha bisogno di concetti come Dio ed aldilà? Non è forse vero che anche Rousseau per il suo “Contratto sociale” ha bisogno del “credo civile” (cioè di due assunti: l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima)? Se esisterà sempre una morale religiosa allora sarà sempre attuale il conflitto tra Antigone e Creonte? Forse il conflitto insanabile tra laici e cattolici riguarderà la bioetica? Inoltre è possibile una morale fondata su principi razionali e che allo stesso tempo non sia utilitaristica? In fin dei conti mi sembra che l’etica attualmente –almeno nel nostro Paese- sia un impasto di utilitarismo e di catechismo. Forse un’etica laica è impossibile e l’etica cristiana sotto alcuni aspetti è rivedibile. Attualmente l’Italia è una civiltà cristiana (per quanto ci siano molti cattolici incoerenti, direi dei cattolici all’acqua di rose). Naturalmente per proteggersi dal pensiero unico del cattolicesimo è consigliabile assumere come antidoti gli illuministi, i pensatori libertini, la sinistra hegeliana (secondo cui l’uomo non è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, ma è Dio che è stato fatto ad immagine e somiglianza dell’uomo) e J.S. Mill, che ha scritto il saggio “Sulla libertà”. Opere come queste sono dei capisaldi per chi crede nella separazione tra Stato e chiesa, nella libertà di coscienza e in uno stato non confessionale. Concludo, scrivendo che gli antidoti alla morale vigente sono necessari. In nome di Dio sono state compiute guerre sante, crociate, sante inquisizioni. Non è detto quindi che un nichilista, un ateo o un agnostico (una persona che sospende il giudizio e che pretende rispetto da parte dei credenti) siano necessariamente portati all’omicidio più di un credente. Ancora oggi forse non esistono persone credenti, che uccidono? Molto probabilmente c’è bisogno della religione perché questa è anche una filosofia popolare. Molto probabilmente le persone si comportano meglio se credono in una religione. Non è necessariamente detto però che i senzadio debbano per forza fare del male al prossimo. Ci sono atei, agnostici e nichilisti che hanno spesso ricevuto -almeno in questo Paese- un’educazione religiosa e sono perfettamente civili ed innocui. Ci sono atei, agnostici e nichilisti che si comportano bene, nonostante non abbiano interiorizzato nessun principio cristiano. Comunque è molto difficile stabilire veramente cosa è bene e cosa è male. Può essere vera l’affermazione di Dostoevskij che “Se Dio non esiste tutto è permesso”, ma ricordiamoci anche del motto “Gott mit uns” (Dio è con noi), fatto proprio dai nazisti. Anche questo tipo di convinzione ha procurato drammi e tragedie nel corso della storia. Infine ricordiamoci “la banalità del male” scoperta dalla Arendt, che seguì tutto il processo a un criminale nazista. La Arendt giunse alla conclusione che costui non era un mostro, ma un essere maledettamente normale. Ciò significava che milioni di persone avevano eseguito gli ordini impartiti da Hitler senza aver mai riflettuto sulle conseguenze delle loro azioni. La “banalità del male” era quindi generata dal conformismo e dalla mancanza di riflessione. In psicologia Milgram fece un esperimento sconcertante, dove constatò che la maggioranza delle persone ubbidiva senza remore e senza alcun senso critico agli ordini impartiti da una figura autoritaria. Il male quindi può essere causato da una mancanza di autonomia di pensiero. In definitiva in ogni società e in ogni epoca qualsiasi morale, anche quella più laica, ha avuto bisogno di due postulati a suo fondamento: l’esistenza di Dio o degli dei, l’immortalità dell’anima.

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