So bene che la suddivisione in categorie è generica e molto schematica. So bene che a generalizzare si perde sempre qualcosa per strada. So bene che a fare distinzioni e categorizzazioni non si finirebbe più. So bene che ci sono vari gradi, molte sfumature e non tutto è bianco o nero. So bene che la realtà è complessa. Quella che vi propongo è un'ipersemplificazione da prendere con il beneficio di inventario. Ma talvolta anche le ipersemplificazioni aiutano a far capire qualcosa almeno ai profani, anche se i colti storceranno il naso. Prendete questa suddivisione come un gioco. Si potrebbe dividere gli intellettuali tra cricchettari e solitari, tra classici e d'avanguardia, tra elitari e di massa, tra impegnati e frivoli, tra comunisti e anticomunisti, tra cortigiani e ribelli, etc etc. Però vorrei fare questa suddivisione in sole quattro categorie per chiarire il rapporto tra intellettuali, potere e mercato.
Categorie venduti versus invidiosi:
Se un tempo Umberto Eco distingueva tra intellettuali apocalittici o integrati, oggi la situazione è degradata, forse degenerata, e gli intellettuali stessi si etichettano tra di loro come venduti o invidiosi. Lo scambio di accuse al vetriolo avviene nei commenti sui vari litblog ad esempio e non più frontalmente a viso aperto come un tempo quando i futuristi facevano le risse con gli altri letterati per combattere il "chiaro di luna". I primi, i cosiddetti venduti, sarebbero quelli arrivati, che pubblicano con grandi case editrici, hanno cattedre universitarie, vanno in televisione (a proposito oggi tutti gli autori dicono che la tv fa schifo, ma la stragrande maggioranza farebbe carte false per andarci. Oggi il passaggio televisivo è obbligatorio e io mi sono sempre chiesto se Aldo Nove si fosse affermato senza andare da giovanissimo in televisione). I secondi sono quelli che si definiscono duri e puri, ma che gli autori affermati ritengono siano solo dei rosiconi e che vorrebbero ma non possono. Degli autori affermati si sottolinea dunque il loro compromesso morale, il loro venire a patti con il sistema. Degli autori non affermati si mette in dubbio la loro validità, la loro originalità. Dei primi si dubita sulla loro onestà, dei secondi si dubita della loro creatività e della loro bravura. Chi attacca i primi parte dall'assunto che per arrivare bisogna sporcarsi le mani, non tenendo conto spesso che ci vuole soprattutto qualità. Chi attacca i secondi pensa al contrario in modo troppo "facilone", grossolano e sbrigativo che chi è bravo ha successo (cosa non sempre vera, perché c'è chi ha successo e non è bravo, c'è chi è bravo e non ha successo). La tesi degli scrittori affermati è che chiunque accetterebbe le loro condizioni, i loro compromessi e che chi critica è solo un frustrato, un rifiutato. La tesi dei duri e puri o presunti tali è che chi è veramente onesto molto difficilmente si affermerà nel mondo delle patrie lettere. L'argomento principale è: gli autori di sinistra o alternativi, quindi contro il sistema, dovrebbero pubblicare nelle case editrici di Berlusconi? Helena Janeczek nella rubrica "Responsabilità dell'autore" di Nazione indiana scriveva nel 2010 che per lei era inutile "boicottare Mondadori o non pubblicare lì libri" perché il sistema deve essere combattuto dall'interno ed è l'unico modo per lottare contro il "modello culturale unico". Come al solito nei commenti c'era chi vedeva nel suo scritto una giustificazione e qualcuno si chiedeva perché, se si riteneva nel giusto, doveva giustificarsi. Insomma le polemiche non sono mancate e la discussione è stata accesa.
Categorie volontari/sfruttati versus retribuiti:
Tiziano Scarpa ha scritto un bel post tempo fa a riguardo sul sito letterario Il primo amore. Scarpa scriveva che purtroppo chi scrive libri, chi li presenta e chi li recensisce spesso non è retribuito, anzi lo fa gratis o quasi. Poi criticava un giornalista de "Il manifesto" che sosteneva che il mercato editoriale si basa sul volontariato culturale degli scrittori e che gli scrittori sono una parte infinitesimale, inessenziale del sistema produttivo generale. Scarpa sottolineava che i giornalisti parlano bene dalla loro posizione, che garantisce loro stabilità economica, tutele sindacali e garanzie previdenziali (non mi soffermo sul fatto ovvio che c'è un gap generazionale tra gli stessi giornalisti e che i giovani se la passano parecchio peggio a livello retributivo e di diritti dei colleghi più anziani e con il posto fisso). Lo scrittore Scarpa, nolente, ammetteva candidamente che, loro malgrado, spesso gli scrittori non possono sottrarsi a questo stato di cose perché perderebbero contatti, opportunità, visibilità. Insomma è volontariato culturale o sfruttamento? È volontariato intellettuale o lavoro non retribuito? Dipende dagli intenti, dagli accordi tra le parti, dalla condizione economica dell'autore, dal tempo messo a disposizione. Questo vale per autori affermati ma anche per gli aspiranti tali, insomma per tutti. Se io collaboro a una testata giornalistica online per 250 euro al mese e devo stare in redazione otto o nove ore al giorno oppure produrre una grandissima quantità di articoli e questa è la mia unica fonte di sostentamento, allora è sfruttamento. Se io invece collaboro a un blog, la cui stesura di articoli richiede quattro o cinque ore alla settimana e ho altre entrate economiche, questo è volontariato mosso da una sincera e gratuita passione. Le persone retribuite, che sono anche quelli garantite e tutelate, invece dall'alto della loro posizione affermano o danno per sottinteso/scontato: 1) che chi non è pagato non merita soldi 2) che tutti oggi iniziano con la gavetta e poi i più bravi emergono dalla mischia. Insomma per affermarsi bisogna essere disposti a fare dei sacrifici, perché la strada degli autori è irta, tortuosa, sempre in salita. Non sempre è così. Pensarla così significa essere darwinisti e avere una visione molto edulcorata della vita. Bisogna anche vedere se l'autore può permettersi di fare volontariato culturale o se arranca ogni mese per pagare affitto o bollette. In definitiva c'è chi è privilegiato e chi no: chi cerca a tutti i costi di vivere con la sua attività intellettuale e chi non ne ha bisogno. John Adams in un celebre aforisma scrisse: "Devo studiare politica e guerra perché i miei figli possano avere la libertà di studiare matematica e filosofia. I miei figli dovrebbero studiare matematica e filosofia, geografia, storia naturale, costruzione navale, navigazione, commercio e agricoltura così da dare ai loro figli il diritto a poter studiare pittura, poesia, musica, architettura, scultura, e ceramica."