Afghanistan: esportare la democrazia e abbandonarla

Afghanistan: esportare la democrazia e abbandonarla
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Il giorno 15 agosto i talebani si sono presi Kabul e di fatto l’Afghanistan tornava sotto il controllo degli studenti coranici, così come accadeva nel 1996.

Nel frattempo il presidente Ghani fuggiva in tutta fretta all’estero, prima in Tagikistan e poi in Uzbekistan, e noi assistevamo alle scene drammatiche della popolazione in fuga. La rapida avanzata dei talebani, che nel giro di poche settimane sono riusciti a conquistare ampie zone di territorio afghano, sembra aver stupito un po’ tutti.

In realtà, l’inizio della loro avanzata è da ricercarsi molto prima, in particolare il 29 febbraio 2020. In quella data, senza che il governo di Kabul venisse coinvolto, i talebani firmavano a Doha un accordo con gli Stati Uniti dell’allora presidente Trump, che di fatto concedeva loro legittimità come interlocutori, dopo che per venti anni gli americani avevano cercato di combatterli.

Il gruppo dei talebani venne formato nel 1994 nella città di Kandahar, in Afghanistan, dal mullah Mohammed Omar, il quale aveva fatto parte dei guerriglieri di ispirazione islamica, i mujaheddin, nella guerra contro i sovietici che avevano occupato il paese nel 1979.

Terminata l’occupazione sovietica, i mujaheddin andarono via via dissolvendosi, mentre i talebani riuscirono ad organizzarsi in maniera efficace diventando presto un gruppo armato in grado di prendere il potere in un periodo particolarmente caotico della storia afghana.

La guerra in Afghanistan, la più lunga mai combattuta dagli statunitensi, portò le truppe americane nel paese come risposta agli attentati dell’11 settembre 2001 compiuti da al Qaida, gruppo terroristico che allora era protetto dal regime dei talebani.

Bin Laden, infatti, trovava riparo e aveva le sue basi in territorio afghano. L’intervento americano ha di fatto portato ad un cambiamento di regime in Afghanistan ma non ha sconfitto del tutto i talebani. Questi hanno saputo aspettare e riorganizzarsi nel momento più opportuno, cioè quando gli Stati Uniti e i loro alleati hanno deciso che era giunto il momento di lasciare il paese asiatico.

L’accordo di Doha del febbraio 2020, tra Stati Uniti e talebani, che prevedeva la progressiva ritirata delle truppe americane dal suolo afghano, è stato per molti analisti l’atto che ha sancito la vittoria talebana.

Contemporaneamente alla ritirata delle truppe occidentali, nel giro di poche settimane, i talebani sono riusciti con relativa facilità ad avanzare città dopo città fino a giungere nella capitale Kabul. I distretti del nord sono stati conquistati senza praticamente sparare colpo, con le truppe dell’esercito afghano che si sono arrese senza combattere.

A pochi giorni dai 20 anni di quel fatidico 11 settembre 2001, è intervenuto anche il presidente Biden sulla questione Afghanistan, in un discorso rivolto più agli stessi cittadini americani che alla comunità internazionale. Biden ha spiegato che l’obiettivo in Afghanistan non è mai stato quello di voler esportare la democrazia ma piuttosto quello di contrastare il terrorismo.

La percezione generale che si è avuta è che in questo caso ha prevalso la continuità con la strategia del suo predecessore Donald Trump. C’è da tenere in mente che la minaccia principale oggi è vista nella Cina e gli sforzi americani sono sempre più concentrati nello scenario pacifico.

Inoltre, un Afghanistan destabilizzato rappresenta un problema più per Cina e Russia che per gli stessi Stati Uniti. Anche in quest’ottica si deve leggere il disimpegno statunitense in territorio afghano

Dopo quasi venti anni di impegno militare occidentale in Afghanistan viene spontaneo chiedersi quale sia stato il senso di questo ingente sforzo in termini economici e in termini di vite umane.

Bin Laden è stato ucciso e gli Stati Uniti non hanno più subito attacchi come quello dell’11 settembre, però, dal punto di vista dell’Afghanistan, questo resta un paese fortemente instabile che sembra essere sul punto di fare un enorme passo indietro, almeno per quanto riguarda la tutela dei diritti. La percezione che si ha è che la ritirata occidentale, fatta in questo modo, non sta facendo altro che vanificare venti anni di sacrifici.

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