Elogio degli intercalari, ovvero il nostro bisogno dell'inutile...

Elogio degli intercalari, ovvero il nostro bisogno dell'inutile...
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Nel parlato chiunque, più o meno colto, usa espressioni stereotipate o comunque ricorrenti. Un tempo come intercalare andava molto di moda "cioè" e tutti o quasi iniziavano e inframezzavano i loro discorsi con questo modo di dire. "Cioè" voleva dire tutto e niente. A scuola gli studenti riempivano i loro discorsi di "cioè" quando non avevano studiato e alcuni insegnanti domandavano a loro volta "e cioè? Cosa volevi dire? Cioè?" e le interrogazioni proseguivano senza sosta in un'infinita trafila di "cioè", che non intervallavano più un discorso di senso compiuto, ma creavano un cortocircuito di vuoto e di nonsense. Quando ero bambino i più anziani usavano come espressione ricorrente "è vero" oppure "nevvéro" e il paradosso era che sentenziavano in modo molto dogmatico, mentre con quell'intercalare sembravano chiedere conferma all'interlocutore. Ognuno ha le sue espressioni, nazionali, regionali, personali, che utilizza spesso. Non c'è scampo, non c'è via di uscita; prendete un parlante, prendete una lingua, ascoltatelo attentamente e vi accorgerete che chiunque usa uno o più intercalari.  Quindi non c'è parlante senza intercalare. Nella scrittura è meno frequente. In poesia, in letteratura, negli articoli cercano di non ripetersi, di rinnovare continuamente il linguaggio, di usare sempre parole e concetti nuovi, ma non di rado ecco che spuntano i rimandi interni, le autocitazioni, gli ampliamenti di discorsi precedenti. Il linguaggio corretto dovrebbe essere preciso, meticoloso e privo di ossessioni verbali. Ma si potrebbe intendere ogni intercalare come l'anafora dei parlanti comuni, come la poesia comune e quotidiana dei non poeti. A ogni modo l'anafora sta a dimostrare che neanche quelli che dovrebbero essere i più profondi conoscitori del linguaggio in ogni epoca, ovvero i poeti, non riescono a evitare la ricorsività,  la ripetizione. In fondo l'intercalare è la prova oggettiva che esistono per ognuno delle formule espressive a cui chiunque si appoggia per fare un discorso. C'è chi usa gli intercalari in modo spropositato e chi fa attenzione a usarli il meno possibile, però è come gesticolare quando si parla: non se ne può fare a meno, una quota fisiologica di intercalari spunta in ogni discorso, da che mondo è mondo, da che l'essere umano è essere umano. Alcuni si sentirebbero smarriti senza di essi, sono quasi segno inequivocabile della loro identità, danno ad alcuni la certezza di esistere, di esserci perché, crolli il mondo, gli intercalari sono una costante linguistica, una invarianza che rassicura psicologicamente. Gli intercalari rispecchiano la mentalità dei parlanti. Visto che siamo in un mondo pragmatico c'è un grande uso di "praticamente". Anche in televisione viene utilizzato spesso da chef, da esperti. L'espressione più comune per dare ragione all'interlocutore è "esattamente". Quando invece si vuole riprendere e correggere qualcuno tanto per dare un contentino gli si dice " teoricamente hai ragione" perché la vera ragione è di chi è pratico e la teoria è tutta da buttare, come se il metodo di ognuno non fosse l'insegnamento che chiunque  ha tratto dall'esperienza.  Per i più colti l'espressione più chic è "allo stato dell'arte", che significa "allo stato attuale delle conoscenze".   Alcune volte alcune persone vengono identificate con i loro intercalari,  specialmente nei paesi o in certi luoghi di ritrovo. Alcuni usano certe espressioni standard anche mentre fanno all'amore. Gli intercalari danno il ritmo delle frasi, ne costituiscono il fraseggio, la musicalità.  Gli intercalari sono quel che resta della nostra parte bambina, del nostro linguaggio egocentrico, per come lo intendeva Piaget. Gli intercalari ancora sono degli ineliminabili automatismi linguistici, psichici e sociali di cui non possiamo fare a meno. Per alcuni l'autenticità di quel che dicono è data dai loro intercalari. In fondo gli intercalari sono riempitivi, colmano il vuoto e la mancanza di idee del parlante. Senza di essi i discorsi di alcuni apparirebbero un guscio vuoto, il vero nulla. L'intercalare dona almeno una parvenza di consistenza, di sostanza a un discorso che, analizzato bene, spesso non ha sostanza né un minimo di profondità. Detto in parole povere, non si può vivere né parlare senza intercalari perché l'essere umano ha bisogno spesso anche del superfluo, del ridondante, del pleonastico, dell'inutile.

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