Innanzitutto l'originalità stilistica di Céline: un linguaggio in presa diretta, uno stile colloquiale e popolano. Céline stesso a proposito del linguaggio dei suoi romanzi ebbe a dire: "è quello che accade a un bastone immerso nell'acqua; perché appaia diritto bisogna spezzarlo un pochettino prima di immergerlo, deformarlo preventivamente se così si può dire". E lo scrittore deforma il linguaggio usuale con rotture sintattiche, espressioni colorite, il famoso uso dei tre puntini per una maggiore sospensione. Tutto questo porta ad un linguaggio parlato dal ritmo incalzante con cui descrive decadenza ed orrori; un fluire torrenziale di parole con cui descrive le situazioni tragicomiche in cui si imbatte. C'è tutto il ventesimo secolo nel Viaggio con la barbarie della guerra, lo schiavismo e lo sfruttamento coloniale, l'angoscia della solitudine a New York, il ritmo febbrile e le sequenze stereotipate delle catene di montaggio della Ford ("non ti serviranno a niente qui i tuoi studi, ragazzo! Mica sei venuto qui per pensare, ma per fare i gesti che ti ordineranno di eseguire. Non abbiamo bisogno di creativi nella nostra fabbrica. E' di scimpanzè che abbiamo bisogno. Ancora un consiglio. Non parlare mai più della tua intelligenza! Penseremo noi per te, amico!"- così scrive Céline nel Viaggio), il degrado delle periferie parigine ed il perbenismo della borghesia. Tutto ciò non innalzandosi mai a giudice. Lo scrittore non esprime mai un giudizio morale. E' contro ogni ordine ed ogni schema predefinito. Ma non è in rivolta contro la società borghese, per lui e per il mondo si tratta ormai di una condanna senz'appello. Secondo Sartre nel Viaggio viene esposta "la visione catastrofica dell'universo". Per Carlo Bo Céline "balla su un deserto di rovine e di morte". Le uniche cose che restano al protagonista del romanzo sono una disperata difesa della libertà e l'anarchismo individuale. Per Céline l'uomo è tutto e ce lo mostra nel suo libro: è assassino, è orgiastico, è animale politico, è patriota, è animale sociale, è egocentrico, è individualista e a tratti bisognoso oltremodo di stare in gruppo. La maggior parte dei personaggi del Viaggio non sono né buoni né cattivi: sono ambivalenti. Céline ci ricorda che le relazioni umane non sono lineari, sono molto più articolate, sfumate e complesse di quello che noi crediamo. Spesso invece cadiamo nell'errore di pensare ad ogni essere umano secondo la dicotomia buono o cattivo. Così come siamo abituati a pensare di volere bene o male ad una persona. Le eccezioni a questa regola sono i due unici personaggi buoni: un sergente in Africa che mantiene una bambina francese senza neanche conoscerla e Molly, una prostituta che mantiene Bardamu, il protagonista. La cosa paradossale è che Céline descrive nel libro il fallimento di ogni rapporto umano, tranne che nel caso di Molly. Ma quest'ultima è una prostituta, cioè una persona che si basa sull'impersonalità del rapporto tra uomo e donna. Eppure il protagonista con lei riesce a stabilire una relazione, nonostante lei lavori la notte e lui sempre di notte vaghi senza meta per la città. L'addio a Molly è la parte più struggente del libro. Bardamu la lascia perchè è "malato dalla voglia di saperne sempre di più". E' tutto preso da un'avidità insaziabile di conoscere. Per il protagonista la più grande possibilità della vita sta nella ricerca di una ricerca, anche a costo di non concludere niente. Sicuramente un libro da leggere per noi lettori italiani perché quest'opera è anche una lunga ed ininterrotta confessione dell'autore. Gli scrittori ed i poeti italiani per tradizione culturale non hanno mai trattato così pienamente in una loro opera della propria anima, comprese tutte le sue magagne e il suo lato oscuro. Per Machiavelli e Guicciardini si poteva scrivere su tutto, ma non sulla propria anima. Un altro motivo per cui leggere il Viaggio è l'evasione continua del protagonista, che viaggia sempre verso un altrove ed ogni volta che cambia paesaggio cambia anche stile di vita e modo di vivere; Bardamu è travolto da un perenne desiderio di illimitatezza e di espansione del proprio io. Inoltre va ricordato che dietro ad ogni opera c'è sempre un testo nascosto: l'implicito, il taciuto, il non detto. Il tema ricorrente di questo testo nascosto di Céline è la decadenza inesorabile, la morte propria e del mondo intero. In fondo l'Europa è in una fase di lunga decadenza: si pensi alla fine di Atene, a quella di Roma, a quella di Costantinopoli; si pensi all'Europa del 1300 in declino per colpa dei Turchi; si pensi all'Europa di oggi dominata dalla superpotenza degli Stati Uniti. Ma non sto parlando chiaramente solo di decadenza economica o militare. Sto parlando ad esempio del prevalere del nichilismo nella nostra società. Per P. Aries l'uomo moderno rimuove la morte dai propri pensieri. E Céline invece scrive un libro sulla morte. Vuole che il suo linguaggio si confronti con ciò che lo minaccia: con la morte. Nel Medioevo c'era addirittura l'ars moriendi, ovvero l'arte di morire. Oggi la morte in tutti i suoi aspetti ci coglie alla sprovvista. Ci coglie impreparati. Ogni volta che ci muore una persona cara ci rifugiamo tutti subito istintivamente nella religione, oppure nella riflessione filosofica. Ci sentiamo più soli e più insicuri di fronte a questo evento, perché ritengo abbiamo perso sia il senso della riflessione che il senso del sacro. Ma la religione spesso diviene un insieme di riti collettivi, di regole senza più valori. La filosofia occidentale si trova inadeguata rispetto ad una tematica così importante. La morte su cui riflette la filosofia è una morte che non odora di cadavere. E' una morte astratta, che si dimentica dell'esperienza concreta del morire e dell'esperienza concreta di veder morire chi conosciamo. Céline invece scrive il Viaggio con l'idea ricorrente della morte e la ricollega continuamente all'idea del viaggio: è per questo che per tutto il libro il protagonista è sospeso tra gli infiniti possibili e l'impossibilità di ogni evento.