Sul plagio, sulla creatività e sulla poesia

Sul plagio, sulla creatività e sulla poesia
}}

Per gentile concessione della redazione ecco un mio saggio breve pubblicato nel numero 104 della rivista cartacea "Atelier poesia" Ringrazio in particolar modo l'editore Giuliano Ladolfi e la direttrice Giovanna Rosadini. Cercate in rete "Atelier poesia", visitate il sito e abbonatevi alla rivista cartacea.



"Sul plagio, sulla creatività e sulla poesia":

Alla voce "plagio" nella Treccani si trova scritto: "3. Nell’uso com., il fatto di chi pubblica o dà per propria l’opera letteraria o scientifica o artistica di altri; anche con riferimento a parte di opera che venga inserita nella propria senza indicazione della fonte: un p. letterario. Per estens., lo scritto o l’opera in cui il plagio si effettua: quest’opera è un p., un vero p., un p. sfacciato; un detto francese afferma che in genere i dizionarî sono plagi in ordine alfabetico."

Chi commette il reato di plagio si appropria in modo indebito di un'opera dell'ingegno altrui. Già Marziale si lamentava di questa pratica. Chi plagia potrebbe essere perseguito legalmente o comunque squalificato dalla comunità letteraria, ma non si può accusare ingiustamente di plagio. Bisogna portare le prove. Non si può genericamente scrivere o dire che un'opera è uno scopiazzamento. Fare ciò è una offesa. Si dica allora e si scriva dove e da chi ha copiato questo o quell'autore. Lo si sbugiardi e lo si esponga al pubblico ludibrio con riscontri oggettivi. Non si può muovere queste accuse infondate. Il plagio comunque può essere volontario o involontario. Esiste anche il caso della cryptomnesia, ovvero una distorsione cognitiva che fa ritenere propria un'espressione o un'idea di altri. D'altronde anche la memoria può fare dei brutti scherzi. Si può incorrere nel plagio per lacuna (una persona è ignara che qualcosa è già stata creata) o per inganno della memoria (ad esempio un poeta  ritiene di avere creato un inusuale accostamento di parole ed invece successivamente scopre che quell'espressione verbale era già stata coniata). Sono per così dire i rischi del mestiere. Ma un conto sono due parole, anche se ciò è riprovevole. Un altro è copiare un intero componimento o un intero brano. Musicalmente vanno molto di moda "le interpolazioni", cioè gli inserimenti di pezzi di canzoni altrui nelle nuove. Musicalmente le cause durano anni per stabilire le somiglianze tra brani. In letteratura si distingue tra il plagio, che è un vero furto, e il richiamo intertestuale, che è  un omaggio. Non è nessuno dei due invece l'eavesdropping, tanto cara ai poeti di ricerca, cioè l'intercettazione di una frase d'una conversazione origliata. In questo caso inoltre non c'è alcuna autorità autoriale. Al mondo d'oggi ad ogni modo esistono dei programmi informatici che analizzano i documenti e calcolano la percentuale di match, quantificando le parole comuni degli elaborati. Per tutelarsi dal plagio si può depositare la propria opera da un notaio oppure basta avere due caselle di posta elettronica e inviare a sé stessi una mail con allegata l'opera, prima di inviarla a case editrici. Non tutti hanno lo stesso atteggiamento nei confronti del plagio. Ci sono alcuni autori alle prime armi che hanno l'ossessione di essere derubati del frutto del loro ingegno e su Instagram scrivono che le loro opere sono protette da copyright. Ci sono autori affermati che concedono il copyleft su alcuni loro lavori.


Si può quindi avere tre opinioni discordanti in merito:


  • Non bisognerebbe avere buona memoria. Bisognerebbe leggere e poi subito dimenticare i grandi autori e le loro grandi opere, anche perché ti restano sempre impresse nella mente in modo inconscio. Bisognerebbe cercare di scacciare dalla mente il più possibile i grandi per non scimmiottarli, per non imitarli goffamente. Chi legge troppo rischia di commettere plagio o addirittura di essere plagiato dalle voci degli autori. Non bisogna essere scolaretti pedanti, allievi troppo diligenti. Bisogna dimostrare di avere delle proprie idee, di avere personalità. Bisognerebbe cercare di dimenticare per essere o perlomeno sentirsi più liberi nella scrittura. Chi è più ignorante non si autocensura troppo, non si inibisce ed è più creativo. La Deledda, Quasimodo, Montale, Dario Fo non erano dei letterati: erano prima di tutto degli autodidatti geniali. Sembra un paradosso ma è la realtà: in Italia sono stati più gli autodidatti che gli accademici a vincere il Nobel per la letteratura. Ciò significa che almeno nel nostro Paese abbiamo degli ottimi autodidatti. Le persone troppo colte talvolta diventano teste d'uovo e non sono creative. Troppa cultura può soffocare la creatività.



  • Bisognerebbe avere ottima memoria e ricordarsi tutte le opere lette per non ripetere gli stili e le idee dei grandi autori. Bisognerebbe avere ottima memoria per avere delle basi e dei punti di riferimento, per non ripetere gli errori delle brutte opere lette. Leggere significa assorbire. Bisogna solo leggere e scrivere per diventare scrittore secondo molti intellettuali. Chi è più colto sa veramente se quello che scrive è creativo o meno. Per scrivere dignitosamente bisogna avere conoscenza della tradizione letteraria: in fondo anche per trasgredire le regole bisogna prima conoscerle. Anche per essere veramente originali bisogna sapere cosa è stato scritto prima. La cultura aumenta la consapevolezza di quel che si fa. A conferma di questo bisogna ricordare che solo le persone colte riescono ad avere risultati apprezzabili nella scrittura. Naturalmente uno può acculturarsi da solo come autodidatta, ma sono pochissimi gli autori veramente naif. Le letture sono degli stimoli e possono ispirare gli scrittori. Dal niente non viene niente per quanto riguarda la scrittura. Per alcuni psicologi la creatività scaturisce da associazioni. D'altronde nessuno crea dal nulla. Si crea sempre da materiali preesistenti. Anche chi è capace di produrre novità e non scade nel già visto prende sempre come esempio dei modelli, dei paradigmi e ha sempre dei maestri. Siamo sempre manieristi di qualcuno. Ogni poetica è composta da apprendistato, immaginario, retroterra culturale, erlebnis, mestiere, intuizione. Per T.S.Eliot la poesia era la mistura di talento e conoscenza della tradizione. Ma una cosa importante è rileggersi e valutare quel che si è scritto: questo lo può fare decentemente solo chi ha un poco di cultura unita a un poco di amor proprio.



  • Talvolta non si tratta di essere colti o meno. Forse scrivere dipende in alcuni casi dalla capacità di inventare storie e in altri dalla capacità di raccontare le storie che si è vissuto. Spesso non dipende neanche da questo. Che cos'è che tiene incollato qualcuno alla scrivania in una bella giornata di sole? Spesso chi scrive lo fa soltanto perché è una persona che soffre. Spesso gli scrittori sono persone che soffrono di disturbi di personalità più o meno lievi oppure di disturbi dell'umore (depressi, ciclotimici, bipolari). Ad esempio il legame tra talento artistico e psicosi maniaco-depressiva è stata spiegata dal libro "Una estrosa pazzia" di Hochman e Duke. Lo stesso psichiatra Cassano in "Liberaci dal male oscuro" conferma il rapporto tra estro artistico e disturbi dell'umore. Ottiero Ottieri era bipolare e fu curato nella clinica diretta da Cassano;  scrisse "L'infermiera di Pisa" su quel periodo. Ci sono anche casi limite di follia pura come Holderlin, Dino Campana o Torquato Tasso. Alcuni psichiatri ritengono che la creatività scaturisca dalla follia, mentre altri sono dell'idea che l'attività artistica protegga dai disturbi della psicopatologia. Ciò che contraddistingue gli scrittori quindi non sarebbe tanto la cultura, l'intelligenza o le abilità verbali quanto la capacità di esperire più intensamente gli stati di animo. In particolare gli artisti sarebbero più saturnini come scriveva Calvino in "Lezioni americane". Già Aristotele in "Problema xxx" si chiedeva come mai gli uomini "straordinari" fossero melanconici. La scrittura spesso è consolatoria. Allo stesso tempo riesce anche a risarcire certe ferite dell'animo e a placare le sofferenze interiori. La poesia è terapeutica. Si parla tanto ad esempio di arteterapia, di biblioterapia, di psicosintesi. Spesso la scrittura è determinata dall'assenza. Chi scrive lo fa perché gli manca qualcuno o qualcosa. Per quale motivo plausibile Cervantes si ostinava a scrivere durante i 5 anni nel carcere di Siviglia? Oppure perché Melville scriveva, dato che morì senza conoscere la gloria? Oppure per quale ragione Joyce scrisse sedici ore al giorno per molti anni? Per quale motivo Proust si rintanava nella sua stanza foderata di sughero? Col senno di poi è facile rispondere. A onor del vero nessuno di loro sapeva a cosa andava incontro. Sacrificarono una parte della loro vita per la creazione di un capolavoro. Comunque rischiarono molto, spendendo gran parte del loro tempo in un lavoro che poteva anche essere infruttuoso.


Ma in fondo non c'è da preoccuparsi. La poesia contemporanea trascende da anni il reato di plagio. Un conto è copiare e altre cose sono i  détournement dei situazionisti (citazioni deformate, dissacranti e decostentualizzate) o le citazioni ludiche dei postmodernisti. Si pensi più recentemente al googlism, in cui i poeti contemporanei creano un componimento con i risultati delle ricerche del noto motore di ricerca su un determinato argomento. In questo caso si tratta di plagio, ma di un furto particolare: un furto all'intelligenza collettiva del web. E che dire delle poesie combinatorie di Nanni Balestrini, create negli anni sessanta con un computer della Cariplo e scaturite da alcuni testi di altri autori? Il grande poeta travalicò il concetto stesso di plagio con l'arte combinatoria. Lo stesso fecero e fanno tutti gli artisti che creano poesia visiva con la tecnica del collage. In questo caso i poeti prendono a prestito parole dai quotidiani. Come considerare i cut up di Burroughs? Sono pratiche scorrette che portano all'inautenticità? Carroll fa dire ad Humpty Dumpty: "La parola significa quello che io voglio farla significare, né più né meno… Tutto dipende da chi è che comanda". Ci sarebbe da discutere molto a riguardo. Forse viviamo in una libertà apparente e godiamo d'una creatività apparente. Lo scrittore Paul Goodman paragonò la società ad una corsa dei topi in una stanza chiusa senza vie di fuga e con questa analogia voleva esprimere tutti i condizionamenti dei mass media, la manipolazione delle coscienze, il controllo sociale. Da un lato poesia deriva dal greco poiein che significa fare. Dall'altro la poesia può essere considerata mimesi come faceva Platone. La creatività in definitiva è un concetto sfuggente perché si conosce ancora poco delle sue basi neuropsicologiche. Sappiamo ben poco dell'ispirazione artistica, dei passaggi intermedi della creazione, della gestalt globale e definitiva. Nel 1970 gli psicologi Goodman e Gardner si occuparono del linguaggio dei simboli, fondando il progetto Zero (così denominato perché si sapeva ben poco sull'argomento). Indagarono la natura della conoscenza artistica partendo dal presupposto che l'arte fosse "un carattere distintivo della conoscenza umana" e perciò anche una attività cognitiva. È plausibile che questo bisogno dell'arte scaturisca dalla necessità di trascendere la nostra finitezza. L'originalità del progetto di Goodman e Gardner è stata quella di riconoscere l'arte come conoscenza, mentre invece la stessa estetica nel corso del novecento ha talvolta relegato l'attività artistica nell'ambito delle categorie bello/brutto, buono/cattivo, edificante/non edificante. Per i due psicologi l'espressione artistica consisteva nell'espressione di stati d'animo, nell'attenzione ai dettagli, nella comunicazione di significati multipli. Se ci si interroga su quale stato mentale o quale condizione esistenziale abbiano portato alla creatività si apre un ventaglio di teorie plausibili: Freud parla di sublimazione, la Klein propone la rielaborazione del lutto, altri teorizzano uno stato di tensione produttiva. Per Freud, pur essendoci dei punti in comune tra poeta e sognatore, l'artista compie sempre un viaggio di ritorno nella realtà. Il poeta attinge dalla fantasia, ma la realtà e la sua immaginazione comunicano tra di loro. Secondo la Klein l'artista crea perché avverte il senso dell'angoscia di una separazione. Nel discorso amoroso R. Barthes ci ricorda che "c'è sempre una persona a cui ci si rivolge, anche se questa persona è solo allo stato di fantasma".  L'assenza della donna amata fornisce spesso l'ispirazione di molti canzonieri d'amore. Si pensi a Dante, a Petrarca e più recentemente all'ultimo Montale, che vive la perdita della Mosca. Alberto Moravia in una intervista dichiarò che "lo scrivere, come anche il dipingere, implichino, per dirla in termini freudiani , l'eliminazione automatica dell'io e naturalmente anche del super-io, mentre l'es è in condizione di esprimersi direttamente". Per quanto questa visione possa apparire per alcuni una ipersemplificazione (tutti i tentativi di annichilire l'io con la preghiera, l'ascesi, gli stati alterati di coscienza, l'arte, la meditazione sono transitori e vani, dato che l'io è sempre pronto a vigilare, a far la posta, a sorvegliare) ci conferma che per un grande scrittore come Moravia erano fondamentali le sue pulsioni oltre al fatto che era  sempre in attesa di un'idea o di un'immagine inaspettata, cioè di quella che Lacan chiama sorpresa, che giunge inavvertitamente dall'inconscio. Allo stesso tempo però bisogna ricordarsi che con Freud nasce la critica biografica e nel saggio "Le frontiere della critica" Eliot fa delle considerazioni interessanti a proposito. Per il poeta inglese la critica biografica scade in una curiosità morbosa su aspetti probabilmente irrilevanti, soprattutto rischia  di basarsi solo su indiscrezioni e pettegolezzi della vita sessuale di intellettuali ed artisti.

Ma ritorniamo al plagio. I giurati dei premi letterari sono ossessionati dai plagi. C'è sempre qualcuno in malafede o qualche goliardico che partecipa ai concorsi spacciando per propri componimenti di altri autori, alcuni già famosi. Talvolta questa paura di incorrere in un errore madornale porta a giudicare dei bei componimenti come artefatti o comunque non genuini. In questi casi rifarsi alla tradizione per un poeta può essere controproducente perché può essere incasellato/etichettato ingiustamente come non originale. D'altronde i critici letterari non possono conoscere a memoria tutte le poesie scritte nel mondo in ogni epoca ed è altrettanto vero che al momento non esiste un motore di ricerca poetico, che contiene i versi scritti da tutti gli autori di ogni luogo e di ogni epoca. Nel frattempo qualche buontempone si prende gioco dei giurati dei premi letterari ma la lotta d'altra parte è impari. È sempre difficile giudicare la qualità delle poesie. È vero che è improponibile il paragone tra la poesia di un bambino di terza elementare e una di Montale. Ma spesso le differenze non sono così marcate. Un tempo si consideravano la metrica e l'eufonia. Oggi non più. Ai giurati spetta quindi un arduo compito per i suddetti motivi.

Gli artisti più creativi sono quelli che hanno uno stile inconfondibile, riescono ad esprimere una loro visione del mondo, prendendo con le loro opere coscienza di certe problematiche e fornendo al lettore una nuova chiave interpretativa. Borges a tal proposito scriveva di poeti che avevano trovato "il loro filone di cose". Gadamer fa l'esempio della Provenza rappresentata dai quadri di Van Gogh, che viene arricchita di senso ed assume una nuova significazione. Ma sono rarissime opere tali. È già molto se un autore riesce nello straniamento, cioè nel rovesciare il punto di vista del lettore come Tolstoj nel racconto "Cholstomér" o più recentemente Brown nel racconto fantascientifico "Sentinella". Molti imitano, ma è perfettamente comprensibile. Talvolta impersoniamo una parte, recitiamo un ruolo. Molto spesso siamo maschere. Secondo Schopenhauer nella vita perdiamo 3/4 di noi stessi per essere come gli altri. Molti preferiscono  essere amati a tutti i costi dagli altri. Preferiscono essere amati,  anche se questo significa perdere genuinità e significa essere amati per ciò che non si è. Molti cercano l'approvazione in questo modo. Questo appiattimento, questa pressione esercitata dal conformismo inibisce la creatività. Sempre Eliot in "Philip Massinger" scriveva che "i poeti immaturi imitano e i poeti maturi copiano". Secondo la legge di Felson "rubare un'idea a uno è plagio, rubarle a molti è ricerca". Allo stesso tempo altri  poeti, veri o presunti, ricercano l'originalità a tutti i costi, ma anche questo può risultare stucchevole. Sempre a proposito di questi anni caratterizzati dalla "sovrapproduzione poetica", in cui tutti scriviamo, Alfonso Berardinelli sostiene in "La poesia verso la prosa" che "l'eccezione diventa la regola". Riguardo alla poesia Dario Bellezza sosteneva che molti fossero chiamati e pochi gli eletti. Aggiungo io che pochissimi sono i seguaci. Vittorio Sgarbi provocatoriamente dichiarò che i poeti dovessero andare a vendere i loro libri porta a porta per vedere le reazioni delle persone, ma ci sono anche piccoli editori, come Franco Del Moro di Ellin Selae, che vorrebbero con loro nei giorni delle varie fiere del libro molti autori supponenti per far vedere quanto sia difficile vendere soprattutto opere di sconosciuti. Per essere artisti non sarebbe necessario essere degli ottimi oratori, ma in questa società mediatica è una grande facilitazione. Ora l'oratoria la chiamano public speaking. Vengono tenuti corsi per insegnare strategie comunicative vincenti e vengono chieste consulenze di psicoterapeuti per vincere blocchi emotivi che ostacolano le persone a parlare in pubblico. In qualsiasi modo la si veda non bisognerebbe mai confondere la spigliatezza con il vero talento artistico. Per Italo Calvino gli scrittori non dovevano mostrarsi. Non dovevano concedersi alle telecamere ed essere riservati. Erano le opere che dovevano essere messe in primo piano. Più recentemente S. King ha scritto nel saggio "On writing" che per fare lo scrittore bisogna principalmente leggere molto e scrivere molto. Ma oggi un artista "deve" essere multitasking. "Deve" essere intervistato, "deve" presentare i suoi libri in conferenza stampa, in libreria oppure alla televisione.

Ritorniamo all'originalità. I pensieri veramente nuovi sono pochi.  Il  neuroscienziato professor Lamberto Maffei ha affermato che i pensieri creativi dal punto di vista statistico seguono la distribuzione di Poisson: la loro probabilità è piccolissima e il numero delle prove per giungere a un pensiero creativo deve essere molto elevato. La distribuzione di Poisson è detta anche legge degli eventi rari. Ogni pensiero creativo è molto raro. Dirò di più: è anche casuale. Zanzotto sosteneva l'eterogenesi dei fini artisticamente e dichiarò: "quando si scrive una poesia è frequente la serendipità: miri a conquistare le Indie e raggiungi l'America.»

Comunque la poesia in definitiva ricorda all'uomo di essere un "animale simbolico". All'uomo non bastano solo le equazioni, la logica deduttiva e i nessi causali: vuole anche intuire le forme ed esprimere la propria parte più profonda. Lo psicologo Maslow intervistò migliaia di persone, chiedendo quali fossero i momenti più felici della loro vita.  Definì questi momenti peak experience, ovvero esperienze culminanti o di punta. Soltanto chi vive spesso questi particolari momenti secondo Maslow è capace di autorealizzarsi. La fruizione artistica, la creatività, il rapporto con la natura, l'ascesi, la riflessione intellettuale, fare l'amore sono tutte peak experience. Lo stesso Leopardi ne "Lo Zibaldone" scriveva che aveva provato la più grande felicità nel comporre. Ciò va ricordato in questa epoca contrassegnata dalla decostruzione del simbolico. Originalità o no.

Dalla stessa Categoria