Questo sia il verso
Mamma e papà ti fottono. Magari
non intendono farlo, ma lo fanno.
Prima ti addossano le colpe loro
e dopo qualcun’altra per te solo.
Ma son stati fottuti a loro volta
da idioti con cappelli e con cappotti
fuori moda, che per metà del tempo
erano sdolcinati-autoritari
e dopo si afferravano alla gola.
All’uomo passa l’uomo la miseria.
Erta e scoscesa come una scogliera.
Tu togliti di mezzo appena puoi,
e non dare alla luce figli tuoi.
(Traduzione del poeta Luca Alvino)
Larkin è riconosciuto come uno dei più grandi poeti inglesi del '900. In Italia solo Einaudi e Nottetempo lo hanno tradotto. Da noi è conosciuto e stimato solo da una ristretta cerchia di appassionati di poesia e letterati. Ogni tanto, per rimanere nella mia bolla social, qualcuno molto di rado lo rammenta e posta qualche sua poesia o elogia la sua poetica. In Inghilterra ha fatto molto discutere la sua personalità atipica. C'è chi lo ha considerato un misogino, un razzista. Così si vocifera. In realtà dovrebbbe importarci l'espressione della parte più pura della sua personalità, ovvero i suoi scritti. Fino alla morte fu un bibliotecario. Fu assai schivo e non frequentò che occasionalmente la comunità letteraria. Visse una vita ordinaria, costituita da noia e grigiore, eppure forgiò, nonostante tutto, dei magnifici versi, impeccabili per la loro eleganza formale. In queste poche righe non voglio disquisire sulla cifra stilistica né sulla prolificità del grande poeta inglese, che nelle poesie più note si distingue per la sintesi e la chiarezza, nonché per il tono demistificatorio di alcune istituzioni come la famiglia (si veda anche la sua poesia sui matrimoni, come unione di solitudini). Ho fatto delle ricerche in rete e ho visto che ad esempio su Le parole e le cose molto hanno discusso su come tradurre in modo appropriato alcuni termini. A mio modesto avviso la poesia non viene snaturata se si traduce "mamma e papà ti fottono" oppure ti fregano, ti incastrano, ti inculano, etc etc. Il senso è e rimane quello. Leggendo questa bellissima poesia alcuni potrebbero ritenere che Larkin ci consegni in modo crudo alcune verità. E noi abbiamo bisogno di subire certi fendenti, di qualcuno che ci dica delle piccole verità amare. Altri potrebbero pensare che le verità di Larkin sono un poco datate, che i rapporti tra padri e figli sono mutati irreversibilmente, che i tempi sono cambiati. È vero che oggi i padri sono sempre meno autoritari e più amici coi figli. È vero che i rapporti nella post-modernità sono caratterizzati addirittura dalla perdita di qualsiasi autorevolezza dei genitori. Non ci sono più genitori oppressivi come Monaldo Leopardi o il padre della monaca di Monza, descritta da Manzoni. Va bene ricordare che lo psichiatra Paolo Crepet descrive i figli di oggi come dei piccoli tiranni, che pretendono tutto, che vogliono tutto dai genitori. La chiave di volta, la rivoluzione copernicana fu il '68, che continuò poi anche con il '77 (un giovanissimo Claudio Lolli nella sua più celebre canzone scriveva: "Siamo noi che beviamo il sangue dei nostri padri"). Anche lo psicanalista Recalcati ha dedicato un suo saggio al figlio ritrovato del Vangelo (che chiede illegalmente per quei tempi la sua parte di eredità quando il padre è ancora in vita) e lo ha paragonato a Edipo, che non ha scelta, non ha alcuna libertà perché su di lui grava in modo ineluttabile il Fato. Ma nonostante siano passati quarant'anni dalla morte di Larkin questa poesia non perde alcuna forza né originalità. I grandi poeti non sono tali solo per la loro coscienza vigile, focalizzata, ma anche per quella che lo psichiatra Raffaele Morelli definisce coscienza aurorale; è grazie ad essa che i grandi poeti riescono a vedere oltre e ad anticipare i tempi. Larkin oggi è più che mai pregnante e attuale. Ci ricorda infatti che ogni educazione ricevuta viene imposta con la forza. Qualsiasi imprinting comporta una violenza fisiologica e non c'è altro modo. Non si può educare soltanto con la dolcezza. Ci vogliono la carota ma anche il bastone. Ogni mente, ogni coscienza viene plasmata quantomeno con una sottile violenza psicologica. Basta ricordare Nietzsche, secondo cui ogni genealogia della morale è fondata sul senso di colpa (dinamica psicologica, interiore), sulla vergogna (dinamica psicosociale) e sulla pena (punizione legale). I bambini ricevono prima di tutto delle regole, dei tabù. Gli viene imposto un modello educativo tramite rinforzi positivi e dei rinforzi negativi. L'educazione viene interiorizzata soprattutto tramite il condizionamento operante. Qualsiasi superamento del complesso di Edipo poi si basa sull'angoscia di castrazione dei figli. E se è condivisibile che oggi i figli chiedano sempre più ai genitori, è altrettanto condivisibile pensare che i genitori ancora oggi esercitino la loro potestà con pregiudiziali, imposizioni, doveri, pur usando formule e toni più gentili e caldi rispetto a un tempo. Sono certamente finiti i tempi di Padre padrone di Gavino Ledda, ma i genitori hanno sempre una grande voce in capitolo nelle scelte dei figli. Molto spesso gli interessi, le passioni, le vocazioni, l'iter scolastico, il futuro dei figli viene deciso dai genitori. I genitori spesso instradano i figli, seppur amichevolmente ed essendo comprensivi. I genitori da un lato richiamano al dovere i figli, ma dall'altro i figli possono rivendicare maggiore autonomia e rinfacciare che non sono stati loro a chiedere di essere messi al mondo. Oltre alla diversità dei ruoli esiste spesso un gap generazionale: i figli non capiscono che un quarantenne è stato anche un quindicenne, ma i quarantenni spesso si scordano di non essere al passo coi tempi. Il mestiere di genitori è il più difficile del mondo. Lo scriveva a più riprese il grande Guido Petter. Si impara con l'esperienza. Nessun manuale di psicologia può insegnare il mestiere di genitore, anche se certe guide possono mettere in guardia dagli errori più madornali. C'è chi festeggia per la nascita di un figlio perché la genia è stata perpetuata, perché è stato soddisfatto quello che i sociologi definiscono il desiderio biogrammatico di immortalità. In realtà a ben vedere un figlio è una grande responsabilità, un grande dovere. Un figlio è anche una grave spesa che grava sul bilancio economico della famiglia. Molti fanno un figlio perché esso è il frutto del loro amore. Spesso a me che non ho figli viene detto o fatto capire, talvolta in modo criptico, talvolta in modo manifesto che io non posso capire minimamente cosa vuol dire avere un figlio. Sono coloro che si ritengono uomini veri perché hanno un figlio. Come se fare un figlio non significasse avere la fortuna di trovare la donna giusta con cui farlo: niente di più e niente altro che questo. Ma gli stessi uomini veri che considerano un figlio una dimostrazione di superiorità e di virilità poi sono gli stessi talvolta che stalkerizzano e picchiano l'ex moglie, prima amatissima, quando vengono lasciati. Per crescere un figlio bisogna dimostrare stabilità, equilibrio, maturità. Ma la cosa più difficile di un genitore è quello di esercitare il diritto-dovere di imporre dei diritti-doveri ai figli. Dipende tutto dal modo in cui lo farà e dai diritti-doveri che imporrà ai figli. L'educazione ricevuta dal primo agente di socializzazione, che è la famiglia, sta tutta qui, ricordandosi sempre che i bambini imparano più che altro regole e valori imitando le figure parentali. A valutare bene tutti i pro e tutti i contro sarebbe da non mettere alla luce un figlio. Ma c'è l'innamoramento, l'amore corrisposto, il suo coronamento con un figlio. Insomma c'è quello che il filosofo Spencer chiamava "il trucco della specie". Il mondo va avanti grazie all'entusiasmo idealistico delle giovani coppie. Tutto questo è racchiuso in modo straordinario in questi pochi versi di Larkin.