"Il mondo è l'insieme dei suoi fatti e delle sue rappresentazioni" secondo Ludwig Wittgenstein, considerato tra i più grandi filosofi e matematici del XX secolo. Se quindi il mondo è l'insieme di ciò che si vede e anche di ciò si immagina, allora l'essere umano è inevitabilmente performato anche da ciò che non può vedere! La citazione iniziale ci permette di pensare che in fondo forse è vero che l'uomo è fatto della stessa sostanza dei sogni (citando Shakespeare) ma il fatto da cui sorge la riflessione che tra poco leggerete parte dalle parole di un personaggio molto più risalente del filosofo Wittgenstein. Il tutto è partito dalla conoscenza fatta, in modo del tutto casuale, con un personaggio che tra gli anni 31 e 47 dell' '800 è stato ministro dell' interno nel Regno delle due Sicilie sotto la dinastia borbonica, Nicola Santangelo il quale fu incaricato di introdurre nel Regno l'uso del nuovo sistema metrico decimale, cosa che però non fu ben accolta nonostante quest'ultimo fosse più semplice dei sistemi metrici in uso a quel tempo. Santangelo arrivò quindi ad una conclusione affermando che "ci sono abitudini che hanno luogo di leggi" e per cambiarle ci vuole tempo. Questo semplice aneddoto ha scatenato la riflessione su quale sia la differenza tra "abitudine" e "rito". La differenza può sembrare palese ma lasciando per un attimo da parte le sfere semantiche a cui le due parole sono connesse, sia l'una che l'altra hanno in comune la ripetizione, la consuetudine a ripetere la stessa azione in un dato momento e per un determinato motivo.
Sembra quindi che rendere qualcosa abitudinario porti a una sorta di conoscenza, unita a un profondo senso di serenità e soddisfazione. La religione e i rituali religiosi portano, infatti, un senso di appagamento tipico dell'abitudine, che ci relega a quella che oggi chiamiamo "comfort zone".
È forse per questo che l'essere umano ha bisogno di esprimere la propria fede (qualsiasi forma essa abbia e a qualsiasi ambito o materia sia applicata) attraverso delle azioni ripetute e ripetitive.
La domanda sorge quindi spontanea: l'abitudine ci salva o ci danneggia?