Ricambio generazionale nelle piccole imprese e risvolti psicologici...

Ricambio generazionale nelle piccole imprese e risvolti psicologici...
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Per le piccole imprese italiane il ricambio generazionale è un grande problema. Ci sono gli ostacoli burocratici, ci possono essere difficoltà economiche, ma spesso sottotraccia c'è una questione meramente umana. Spesso ci sono divergenze di vedute e incomprensioni tra titolari ed eredi. Spesso tutto all'apparenza sembra che sia dovuto a differenti vision, a diverse strategie aziendali, a diversi modi di concepire l'azienda. In realtà dietro questa superficie ci sono problematiche psicologiche. Spesso titolari ed eredi, persi in un conflitto quasi insanabile, cambiano direttori e consulenti per averli dalla loro parte, in un gioco al massacro delle parti, in cui ciascuno cerca yesman e dipendenti, che diano loro ragione. In realtà ci sarebbe bisogno di un esperto della psiche, che gestisca e risolva i conflitti, che sappia negoziare e mediare. Eppure a volte titolari ed eredi non riescono a chiedere aiuto in questo senso, perché non riescono a riconoscere che il vero problema è psicologico. Ci sono di solito molte resistenze in merito: "noi non abbiamo bisogno di psicologi", "la psicologia non serve a niente", "gli psicologi non valgono niente", etc etc. Di conseguenza i mesi passano, avviene l'escalation del conflitto,  la situazione si aggrava, l'azienda va in crisi, poi chiede il concordato, chiude e fallisce.  Il conflitto può nascere per vari motivi. Accade talvolta che dirigenti,  avvocati e commercialisti si trovino a fare da pacieri e da psicologi a questi piccoli imprenditori.  Spesso i titolari di piccole imprese non hanno un'elevata scolarizzazione, ma hanno senso pratico, grande esperienza, conoscono come le loro tasche l'azienda e il mercato. Sono i cosiddetti boomer, che hanno fatto il loro ingresso nel mondo del lavoro quando non c'era crisi, quando era più facile oggettivamente creare e fare impresa, quando uno si metteva in proprio con poco denaro e molta improvvisazione, semplicemente perché aveva visto farlo a dei parenti e a degli amici e si era chiesto: "cosa hanno loro che io non ho?" oppure "se l'hanno fatto loro perché non posso farlo anche io?"

I rappresentanti, i fornitori, i clienti, i dipendenti si fidano davvero di questi titolari di una certa età. I figli sono più istruiti in genere, ma spesso i padri in modo troppo benevolo danno troppa fiducia a loro e danno loro posti di responsabilità; spesso li coinvolgono troppo presto nei processi decisionali della piccola impresa. Ma istruzione non significa esperienza sufficiente, non significa formazione aziendale adeguata per fare le scelte imprenditoriali giuste. Talvolta i figli non sono all'altezza dei padri semplicemente perché non hanno la loro praticità o le loro stesse capacità intellettive. Però bisogna dire che spesso il mercato non aiuta, perché non perdona gli sbagli che avvengono nel periodo di transizione tra titolari ed eredi: talvolta basta fare un errore, che può rivelarsi irrimediabile.  Insomma al mondo d'oggi il margine d'errore a livello imprenditoriale, soprattutto per le piccole ditte, si è ridotto drasticamente.  Talvolta i figli non si rivelano all'altezza dei padri perché vissuti nella bambagia, viziati e drogati. Dietro a tutto questo ci sono ancora una volta problematiche psicologiche: i padri spesso sono assenti, danno ai figli solo benessere materiale, ma non riescono a dare una dirittura morale ai figli. I problemi sono spesso sia edipici che generazionali, in un continuo intreccio di queste due componenti.  Poi Freud parlava del complesso di Edipo, ma potremmo anche teorizzare il complesso di Laio. Spesso i figli vogliono uccidere subito simbolicamente e in quindi in questi casi imprenditorialmente i padri, cercando di assumere le loro veci in azienda. Ma talvolta i padri non vogliono farsi da parte, considerano i figli degli incapaci, li ritengono inadeguati e in questi casi anche questo atteggiamento non favorisce il ricambio generazionale. Ci sono padri che danno troppa fiducia ai figli quando la fiducia andrebbe guadagnata gradualmente e padri che sono iperprotettivi. Talvolta il problema riguarda esclusivamente la mentalità comune e quindi più la psicologia collettiva che quella individuale, come ad esempio una o più giovani donne che devono rilevare un'azienda in un settore ancora maschilista, in cui "le femmine" sono malviste e poco considerate. Scrivevo prima di risvolti edipici,  ma non sono i soli: non di rado ci sono conflitti tra fratelli "coltelli" o tra parenti "serpenti" di sangue o acquistati; ci sono anche casi in cui un socio non può vedere i figli dell'altro socio.  La casistica è vasta, dato che oggi le famiglie allargate sono sempre di più. Saper riconoscere che si è in balia di dinamiche psicologiche e non di diversi modi di vedere la realtà aziendale sarebbe un primo passo importante, determinante per risolvere situazioni di stallo, in cui ogni parte è irremovibile e in cui a fatica gli attori in gioco si parlano.  Talvolta però tra gelosie, rancori mai sopiti, invidie, sentimenti di rivalsa, antipatie, odio soggiacente le piccole imprese chiudono i battenti.

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