PITCHIPOI

PITCHIPOI
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Un nuovo, particolare “graffito” al neon, dopo “Siamo con voi nella notte”, è andato a trasformare il Museo Novecento, in piazza Santa Maria Novella, a Firenze, come terzo atto di una lunga e provocatoria esposizione iniziata lo scorso novembre ad opera di due artisti, un uomo e una donna, che si firmano con un unico nome: Claire Fontaine. Installata il 27 gennaio 2021, in occasione del giorno della memoria, una seconda scritta luminosa sarà infatti visibile, insieme alla precedente, fino all'11 marzo.

E se la prima, installata il 12 dicembre 2020 sulla facciata esterna del museo, ha il compito di sottolineare il disagio che tutti noi stiamo vivendo a causa della pandemia, la seconda, sul loggiato esterno, ha il triste ma necessario compito di ricordare, per non ricrearlo in futuro, un disagio del passato; uno ancor più terribile, più oscuro, nonché una macchia che, indelebile, continua a deturpare il nostro paese e, ogni volta, in questo giorno che chiamiamo “della memoria”, a farci vergognare di farne parte.

“Pitchipoi”, dice la grande scritta . Non una frase, questa volta, ma un nome, più precisamente, il nome di una località; ma non di una località esistente, bensì di una immaginaria; e non di un libro di fiabe, ma scaturita dalle menti spaventate di migliaia di ebrei , o meglio, di persone innocenti, strappate via dalla loro casa, senza alcuna giustificazione che possa ritenersi tale, arrestate e deportate in un campo di prigionia, quello di Darcy, in Francia, in attesa della destinazione finale. Destinazione che non potevano assolutamente conoscere, dato che i loro aguzzini, indegni poliziotti, uomini al potere, criminali in divisa, non si davano nemmeno la briga di dir loro dove stavano per andare.

E così era nata questa parola, “Pitchipoi”, dal suono così dolce e rassicurante; una parola proveniente dalla loro lingua, una parola Yiddish, anche se inventata per rispondere a quella domanda che ossessionava le loro menti, per smorzare un po' la paura con cui erano costretti a vivere in quel campo di transito, giorno dopo giorno.

E perché?

Perchè erano nomadi?

Perchè non erano biondi con gli occhi azzurri?

Perchè non erano tedeschi?

Perché non erano italiani, francesi, o inglesi?

Perchè esistevano?

Esatto.

Immaginavano di andare a Pitchipoi, ma erano diretti al campo di Auschwitz, a morire. E solo perché un pazzo al potere aveva detto a tutti che non meritavano di esistere.

Ancora una volta, quindi, il museo Novecento diventa un mezzo per riflettere e non dimenticare,

ma, soprattutto, per comunicare e condividere attraverso l'unico modo che per ora ci è concesso, ossia l'arte, e perché, per usare le parole del direttore artistico Sergio Risaliti,  “mai come adesso occorre prendere la parola”!

Tatiana Torraco

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