Navigando in rete ci si può imbattere in agenzie o intermediari che propongono la costituzione di società all’estero a fiscalità privilegiata al solo modo di eludere o abbassare il prelievo fiscale in Italia.
Nella sostanza, cercano di vendere i loro pacchetti con società domiciliata a Dubai, Seychelles o isole Cayman. Vendono il sogno di una società costituita in un paradiso fiscale, bella e pronta in modo che si possano gestire gli affari dall’Italia per il tramite di una sorta di scatola vuota.
In soldoni questi tipi di società non sono altro che fogli di carta offerti da agenzie o intermediari senza una vera e propria sede, ma aventi un sito internet e domiciliate magari in una cassetta della posta chissà dove.
E’ ormai finita l’epoca delle “cartiere” e le società che sono solo nella sostanza un atto costitutivo e un pezzo di carta non hanno modo di avere una compliance in nessun tipo di ordinamento tributario.
Bisogna stare molto attenti a non incappare in un caso di esterovestizione e se proprio si voglia fare business all’estero, lo si faccia in modo concreto.
La normativa fiscale italiana considera una società esterovestita, pur essendo costituita all’estero assoggettata a imposizione in Italia, una società che sia posseduta integralmente da soggetti residenti in Italia e nella fattispecie oltre che posseduta, amministrata da residenti italiani.
Bisognerà dimostrare il reale esercizio di un’attività economica organizzata, la reale esistenza di una sede all’estero, avere documentazione alla mano come ad esempio il contratto di affitto, utenze, assunzione di dipendenti e solo cosi’ si potrà mitigare la problematica legata all’esterovestizione. Ovviamente il luogo dell’amministrazione non deve essere in ogni caso l’Italia, ma amministrata nel paese estero tenendo prove documentabili da opporre al fisco italiano come ad esempio l’avere un CDA che abbia soggetti esteri e solo un italiano, riunioni dei consigli di amministrazione avvenuti all’estero documentando la propria presenza all’estero con biglietti aerei, scontrini, telepass ecc. Anche l’assemblea dei soci dovrà essere tenuta all’estero.
Va da se che per operare fuori dall’Italia si debba spostare la residenza all’estero o ci si debba stabilire per più di 183 giorni l’anno.
Si rende noto comunque che il nostro fisco ha introdotto oltre al concetto del centro dei propri affari anche il centro degli affetti, per cui se si è sposati e si ha dei figli minori non indipendenti, l’imprenditore dovrà pensare di trasferirsi anche con la propria famiglia anche per soddisfare la tematica della tassazione su persona fisica.
L’articolo 3 del TUIR enuncia l’assoggettamento della imposta italiana di tutti i redditi comunque ritratti in qualsiasi paese del mondo da parte di un residente italiano, ne consegue che i sistemi europei incluso quello italiano tassano la residenza a differenza dei sistemi anglosassoni come quello americano che invece tassa la cittadinanza.
Un tempo non molto lontano si parlava di Blacklist, oggi, invece, vengono considerati paesi a fiscalità privilegiata tutti quei paesi all’interno dei quali l’aliquota di imposta sia inferiore al 50 % della corrispondente imposta che sarebbe applicabile in Italia su quella tipologia di reddito.
Viviamo in un mondo di tracciamenti e di digitalizzazione delle informazioni e piu’ nello specifico si adopera la modalità di seguire i flussi finanziari che saranno oggetto di indagine del fisco. In buona sostanza la banca estera censirà il titolare effettivo del rapporto, il suo conto corrente estero e invierà una comunicazione all’Agenzia delle Entrate italiana laddove lo stesso titolare effettivo del rapporto sia residente in Italia e da quel momento cominceranno una serie di comunicazioni con l’Agenzia delle Entrate. Dopo i ravvedimenti si arriverà all’accertamento. Il malcapitato imprenditore avrà l’onore di presentare tutte le dichiarazioni dei redditi antecedenti, dovrà pagare tutti i tributi, pagare le sanzioni per l’omessa presentazione del quadro RW (che è quello della dichiarazione dei redditi esteri) dovendo sanare in compliance.
Il tema sanzionatorio va molto al di la della sanzione tributaria del 30% che potrebbe arrivare anche al 100%.
Un pacchetto offerto che diventerà poi nelle mani dell’imprenditore un pacco bomba.
Bruno Carella