Pagina di diario della pandemia, ovvero come eravamo...

Pagina di diario della pandemia, ovvero come eravamo...
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Premessa: probabilmente non interesserà a nessuno perché quel periodo lo abbiamo lasciato alle spalle. Alcuni lo hanno addirittura rimosso. Questa però è una mia testimonianza, indicativa dell'incertezza, della crisi, della confusione mentale che avevo in quei giorni. La riporto senza alcuna modifica. Siate indulgenti! Buona lettura:

La vita è fatta per costruire o trovare un senso, ma è sempre così difficile trovare piccole verità tascabili estendibili per tutti. Eppure gli universali contano, senza per questo estromettere le eccezioni, le anomalie, i casi particolari. Non c’è niente di male nell’astrazione. Non c’è niente di male negli aforismi, nei mottetti. In fondo questo significa pensare e io ho ancora il coraggio di pensare. L’ho sempre detto che non si vive senza generalizzare. L’importante è non discriminare. Insomma l’esistenza è assurda, ma tutti cerchiamo di trarne degli insegnamenti e di dedurne qualcosa. Molti addirittura ritengono che più esperienze fanno più materiale hanno per imparare qualcosa dalla vita. Probabilmente hanno ragione. Inoltre chi pensa che tutto sia relativo e che nulla sia vero è il vero assolutista di questo nostro pazzo secolo. L’esistenza a ogni modo è sempre pregna di significati. In questo periodo di quarantena ho letto pochissimo, a differenza di tutto il 2019. Ho cercato di distrarmi il più possibile. La scorsa domenica mi sono tracannato una birretta, dopo aver mangiato i carciofi fritti. Poteva anche essere l’ultima o quasi. Tutti ora ci chiediamo a quale punto siamo della nostra parabola esistenziale. Da tempo immemorabile non cerco di raggiungere il fondo di me stesso perché sono sempre più dell’idea che siamo dei pozzi senza fondo. Sono giorni di reclusione forzata, di grande immobilità. Viviamo nel limbo. Mai come adesso abbiamo conosciuto così bene le pieghe dei nostri lenzuoli, le crepe dei nostri muri, gli spifferi delle nostre finestre, i metri quadri delle nostre stanze. Siamo tutto il contrario degli ignavi. Loro potrebbero scegliere e fare ma non vogliono. Noi vorremmo scegliere e fare ma non possiamo. Mi piacerebbe raccontare questo periodo da una prospettiva insolita. Invece la mia è la figura scontornata dell’uomo qualunque, dell’italiano medio. Sono tutti e perciò nessuno. Mi perdo nell’indistinto. Ci siamo dovuti rintanare. Dobbiamo stare con noi stessi. Siamo da soli con le nostre percezioni, le nostre associazioni, i nostri pensieri, le nostre disarmonie. Ogni contatto è vietato al di fuori delle mura domestiche. È nostro solo il mondo interiore. Siamo in una fase di spaesamento, anche se non ancora di smarrimento. Forse un giorno ci diremo che l’abbiamo passata, che siamo sopravvissuti. Nessun savio però riderà di tutto questo periodo buio. Forse ce lo ricorderemo come una parodia della vera esistenza. Forse avremmo solo un ricordo molto vago. Questo è un tour de force col proprio io, cercando di evitare infingimenti e autoinganni. Ma solo le nostra mura amiche sono testimoni delle nostre inquietudini. Non ci sono più le relazioni sociali, le variazioni infinitesimali esterne, i dettagli particolareggiati. L’altro è ridotto quasi a elemento fantasmatico. L’altro si è assottigliato, sfaldato, quasi polverizzato per lunghi tratti in cui noi siamo da soli con la voce della nostra coscienza. Mai come oggi molti hanno tempo da dedicare a loro stessi e alla loro famiglia. Ma è davvero un bene? Molti ritroveranno nei propri cari degli estranei. Si verificheranno dei microsismi nelle famiglie italiane. Lo stress da sottoattivazione può portare anche alla conflittualità. Forse il segreto sta nel non essere mai pienamente risolti come esseri umani per svelare così alcune zone inesplorate di sé stessi. Ogni giorno potrebbe essere un nuovo esame di coscienza, senza per questo richiedere alla vita la rivelazione. Certamente oggi come oggi i viveur si trovano in difficoltà. Estremamente arduo adesso avere scariche di adrenalina. La vita scorre a rilento. Il tempo si è dilatato. Siamo costretti all’inazione. Alcuni si sentono ingolfati. Forse gli uomini più sedentari sopportano meglio. È una condizione surreale. Alcuni non sanno che fare e si mettono a fissare il soffitto. C’è anche chi impara nuove lingue per essere più preparato quando il mondo riprenderà e ci saranno nuove sfide. C’è chi non si perde d’animo. C’è chi si fa prendere dall’immaginazione e cerca di inventare nuove cose. Trovo comunque che questo tempo sia balordo. Siamo in primavera e nonostante ciò ho le nocche delle mani screpolate dal gelo. La realtà è che io già prima facevo vita ritirata e quindi le mie abitudini non sono state totalmente stravolte. Però capisco bene chi era abituato a uscire continuamente e ora si sente agli arresti domiciliari. Eppure andava tutto tranquillamente in Italia. La gente guardava Sanremo. C’era chi si identificava in Joker e chi nell’amica geniale della Ferrante. Insomma era ordinaria amministrazione. Nel giro di poco tempo tutto è cambiato. Il viaggio oggi più che mai è incerto. Si ha la netta sensazione di essere arrivati ad una svolta epocale oppure al nostro capolinea. Ci chiediamo se è la fine del mondo o se è solamente la fine della nostra vita. Ora però torniamo a noi. Mi alzo sempre presto la mattina. Da giovane ero gufo. Adesso sono allodola. Naturalmente prendo la melatonina. Ho anche collegato lo stereo della macchina al Tablet via bluetooth e mi sono messo ad ascoltare tutte le canzoni che volevo, cercandole su YouTube. I giornali li ho letti come al solito senza andare all’edicola, in quanto sono iscritto alla biblioteca comunale e posso leggerli online. Non ho voglia di leggere ebook. Mi interrogo su cosa sia veramente prioritario. Passeggio con mio padre nel soggiorno e in cucina. Mi soffermo a guardare fuori dalla finestra. Osservo il flusso del supermercato. Osservo attentamente la fila della gente con le mascherine che deve fare la spesa. Devo dire che ho trovato il mio cane due volte con la gomma piuma nel casotto. Per fortuna ci gioca, l’azzanna ma non la inghiotte. Se la inghiottisse, rimarrebbe affogato. Mi sono messo a riflettere come staremmo male se il nostro lagotto morisse e poi mi sono messo a riflettere come starebbe male lui se tutta la nostra famiglia morisse per questo maledetto virus. Ho ripensato alla mia vita. Ho riflettuto su me e sul mondo intorno. E poi questa vita è un flusso continuo e caotico tra l’io e il mondo! Non sapremo mai fin dove si estende il nostro io e neanche quali sono i confini del mondo. Potete pensare quello che vi pare, ma a mio modesto avviso non ci si può mai fidare del mondo e neanche di noi stessi. Ho ricordato le città vissute e quelle soltanto viste, i luoghi ameni e quelli soltanto cari. Ho immaginato le donne e i figli che non ho mai avuto. Ho ripercorso tutto l’itinerario della mia vita, ma poi ad un certo punto ho smesso perché i bivi erano troppi, troppe erano le biforcazioni. Ho ricordato quando ancora avevo la sigaretta all’angolo della bocca e la consideravo mia dolce compagna. Mi sono ricordato dei miei romanzi incompiuti dati alle fiamme del caminetto anni fa. In fondo ogni romanzo incompiuto era una risposta falsa a me stesso. Ho pensato alle strade battute quotidianamente. Mi sono interrogato quante e quali sono le persone realmente importanti per me. Mi sono chiesto se ne fosse valsa veramente la pena. Ho ricordato le delusioni sentimentali, i momenti di ebbrezza, gli amici andati per sempre e quelli ritrovati. Ho pensato a tutte le persone sole e anche a quelli che vivevano per strada. Ho ritenuto che io ero fortunato a stare nella mia casetta con la mia famiglia. Ho ringraziato Dio di questo e finora della salute che abbiamo. Mi sono girato ore e ore nel letto di giorno. Talvolta mi sono svegliato nel cuore della notte e mi sono fatto un caffè. Mi sono guardato più volte allo specchio e ho osservato attentamente le mie rughe di espressione sulla fronte. Ho scritto delle lettere a persone vicine e lontane nel cuore e nella mente. Ho impersonato un poco la parte di Herzog, scritto da Bellow. Ho pensato alle mie lettere non spedite. Ho pensato alle mie contraddizioni e alle mie fratture. Mi sono chiesto a quanti giorni fossi dalla mia morte. Mi sono chiesto se io e la mia famiglia avremmo passato incolumi questo periodo. In definitiva sono le domande che si fanno molti. Del resto non ho mai affermato di avere niente di speciale. Forse sono solo un concentrato di luoghi comuni. Forse c’è dell’altro in me. Mi sono messo a meditare a cosa fosse veramente prioritario e cosa dovesse essere messo in secondo piano. Ho pensato ai miei sbagli, agli errori forzati e a quelli davvero deliberati e voluti. Ho chiesto scusa a Dio. Mi sono messo a pensare al grande mistero della morte e dell’aldilà. Non so perchè ma ho ritenuto che i veri credenti preghino per la salvezza di tutto il genere umano. Forse una cosa sensata sarebbe pregare per la salvezza dei propri cari e non della propria. Il mio rapporto personale con il divino da questo punto di vista è quello di chiedere scusa ma non la grazia. Mi sono domandato se questa quarantena forse non fosse l’anticamera dell’inferno o solo un assaggio. Ho pensato alla morte da Coronavirus come una condanna inappellabile e poi mi sono detto che era meglio non essere troppo pessimisti. Dopo ho ripensato che per Sgalambro un pessimista non è altro che un ottimista informato.  D’altra parte corriamo tanti pericoli. Ora però c’è anche il rischio di rimanere fiaccati nello spirito, di non avere più voglia di vivere. Ho pensato che morire di Coronavirus sarebbe uno scherzo del destino. In fondo questo virus galleggia, fluttua nell’aria e talvolta si rivela micidiale. Ho pensato a tutti quelli che ripetono continuamente che ce la faremo. Io ad ogni modo mi chiedo quanti mancheranno all’appello. Ho cercato di meditare su tutte le ripercussioni che la presenza nel mondo di questo virus aveva avuto su di me. Ho pensato che forse non avrebbero trovato il vaccino e che il prossimo inverno il Coronavirus si sarebbe ripresentato alle porte. Ho pensato a come mi era cambiata la vita in queste ultime settimane. Ho ricordato le passeggiate con mio padre e con il mio lagotto lungo lo scolmatore. Ho pensato alle cene in trattoria. Ho ricordato ai libri presi a prestito alla biblioteca comunale di Pontedera. Ho ricordato che era da tanto tempo che la mattina non mi gustavo un cappuccino. Ora il bar vicino casa dove andavo è chiuso e nel palazzo in cui era situato ai piani di sopra fanno i tamponi per accertare la positività al Coronavirus. Mi sono chiesto per quanto tempo ancora avrei dovuto rimandare questi piccoli piaceri, che prima consideravo cose da nulla. Forse ci vuole la privazione e la coercizione per ridare il vero valore alle cose. Ora non cammino più. Non esco di casa neanche per passeggiate vicinissime. Ho paura di essere fermato. Per fortuna ho la cyclette che è un vero toccasana. L’unica cosa positiva in tutta questa situazione caotica è che ho potuto rimandare la visita con la dentista. Intendiamoci mi sta anche simpatica ma per fortuna non rientro nelle urgenze. Avrebbe dovuto controllare la mia infiammazione alle gengive. Tutto rimandato e un pensiero in meno finora. Mi ha detto di continuare a fare gli sciacqui col colluttorio e di usare sempre il filo interdentale. Tutto sommato sono fortunato perché non sono esposto a dei grandi rischi. È da tanto che non ho contatti con un estraneo. Mia sorella va a fare la spesa. Io però sono un ex-fumatore. Ho smesso da sette anni ma questo mi pone in una categoria a rischio in caso di polmonite bilaterale. Ad ogni modo la preoccupazione primaria è per i miei genitori. Ho pensato che anche di fronte a un bilancio esistenziale apparentemente fallimentare la vita può sempre rivelare sfaccettature inedite e risvolti intonsi. Ho pensato che in fondo questa esperienza avrebbe segnato tutti i sopravvissuti per sempre. Ho pensato che avrebbe segnato sia chi avrebbe vissuto il dramma sia chi avrebbe vissuto tutto di straforo e in modo indolore. Questa tragedia collettiva inoltre a mio modesto avviso ci ha insegnato che il darwinismo socio-economico è da condannare senza se e senza ma. In fondo neanche Darwin era favorevole al darwinismo socio-economico. Non confondiamo perciò le idee di Darwin con quelle di suo cugino Galton, fondatore dell’eugenetica. Forse quello che ci manca è la partecipazione emotiva. La noia quotidiana forse è diventata un anestetico. Solo per pochi la quarantena è diventata davvero una teologia o quantomeno un momento di crescita personale. Guardarsi dentro è difficile. L’introspezione per chi è abituato ad andare di fretta è una cosa ardua, quasi impraticabile. Ogni occidentale è “mistico bloccato” sosteneva Cioran. Lo stesso Heidegger considerava la lettura del giornale dell’uomo contemporaneo nel mattino come “una preghiera quotidiana”. Allo stesso tempo il poeta Sanguineti si definiva “un pornografo inibito”. Insomma ci hanno tarpato le ali in un senso come nell’altro. Non siamo capaci di essere spirituali e neanche pienamente carnali. Voglio raccontare un aneddoto. Un tempo io e un amico che non vedo più da anni incontrammo una donna che aveva fatto da guardia del corpo al Dalai Lama. Iniziammo a parlare. A un certo punto ci consigliò di viaggiare per anni per l’Oriente, soprattutto al mio amico. Quando lui le chiese il motivo per cui consigliava ciò soprattutto a lui, allora lei rispose che essere belli e avere una bella macchina non significava niente. Insomma avremmo dovuto fare l’esperienza dell’Oriente per capire qualcosa di essenziale e significativo. Ma non sarebbe bastato il turismo mordi e fuggi. Il viaggio per arricchire la nostra interiorità avrebbe dovuto durare anni. Questo discorso sarebbe complesso, articolato e porterebbe lontano. Ma probabilmente è meglio fermarsi. Per ora quindi mi fermo qui. La paura resta. Speriamo che non abbia il sopravvento e che questo maledetto virus scompaia dalla faccia della Terra.

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