L'estetica dell'eroe antico - tra fantasia e realtà

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L'ESTETICA DELL'EROE ANTICO – TRA FANTASIA E REALTA'


Alessandro il Grande poco più che ventenne si accingeva a conquistare l'impero più vasto e potente nel mondo allora conosciuto.

La storia si mescola con la leggenda, e la fantasia si mischia con il reale quando parliamo di Alessandro. Il mito diviene il substrato, così come era per la cultura greca tutta, della storia vera e propria, della cronaca storica a cui l'avventura e campagna di conquista di Alessandro il Grande fa riferimento.

Figlio di Filippo II di Macedonia, Alessandro si recò nel deserto, nel nord Africa, al tempio di Amon, la rappresentazione di Zeus presso i popoli del sud del Mediterraneo. Parlò con l'oracolo di Zeus Amon perchè voleva sapere una cosa fondamentale per la sua campagna militare, ma soprattutto per la sua storia personale, per la sua vita stessa.

Alessandro chiese alla parte mistica della realtà che tutti gli uomini conoscevano e vivevano durante i suoi tempi, ovvero a un oracolo, se fosse il figlio di un dio, proprio di Amon.

Già si diceva e si tramandava che da parte di madre Alessandro discendesse da Neottolemo, e quindi anche da Achille. Più avanti durante la sua campagna di conquista venne anche considerato discendente di Eracle, o addirittura di Dioniso, visto che la madre Olimpia era solita praticare rituali di natura dionisiaca.

Da questa nebbia mistica tra mito e realtà nasce la figura di Alessandro Magno.

Figlio di un dio, figlio di Amon, ritorna dalle sabbie del tempio in mezzo al deserto, dopo un viaggio che già di per sé era proibitivo, e dichiara al mondo di essere il discendente di Achille e di Zeus Amon, pronto a far cadere l'impero di Persia e a prenderlo con la forza, senza alcuna ulteriore discussione.

Dietro alle ragioni dell'invasione di Alessandro, che più che di un'invasione vera e propria come quella di Serse durante le guerre Persiane, si trattava di un'impresa militare e di una vera e propria avventura ai limiti della razionalità umana, ai limiti della follia.

Forte dell'appoggio degli ateniesi e delle poleis greche tutte, che Alessandro soggiogò con la forza, si ricordi l'incendio di Tebe e la furia con cui rase al suolo la città, partì alla volta del vastissimo Oriente, ma prima fece tutta una serie di cose abbastanza singolari.

Forse si trattava di semplice propaganda, ma la propaganda ai tempi di Alessandro il Grande non esisteva nel senso moderno, magari poteva influenzare i suoi soldati, un gesto forte poteva dare coraggio alle truppe, più convinzione, forse, ma non era la propaganda nel senso di meccanismo di condizionamento dell'opinione pubblica come la intendiamo noi oggi.

Alessandro cercava una storia, la sua storia. Alessandro creava con le sue azioni, pragmaticamente, tassello dopo tassello, il mosaico di leggenda, mito e storia che gli garantirà l'accesso e al vasto mondo orientale, precluso ai Greci dai tempi della guerra di Troia.

E proprio per questo Alessandro si rifaceva alla figura di Achille dell'Iliade di Omero. Achille era, nella narrazione che Alessandro voleva dare della sua campagna, il suo avo e soprattutto precursore, un grande greco che si confrontò con le potenze dell'Oriente, a quei tempi, la città di Troia, simbolo dell'Oriente tutto, in realtà molto più vasto, come poi lo stesso Alessandro ebbe modo di scoprire nei suoi viaggi.

Prima di dare inizio alla campagna militare di conquista dell'impero Persiano Alessandro si recò a Troia, a rendere omaggio ai tumuli di Achille, Patroclo, Protesilao, e a rendere omaggio alla grecità tutta che combattè contro l'Oriente gloriosamente.

Alessandro provava in un certo senso con quel gesto a rievocare gli stessi spiriti di Achille e di Patroclo, in modo che gli avrebbero fatto da nume tutelare. E soprattutto, voleva che il suo esercito si sentisse guidato da un vero e proprio semidio, dal discendente di Achille, l'eroe leggendario.

Si spogliò nudo, si unse di oli sacri, e corse attorno alla tomba di Achille, ed Efestione, il suo amante e più fidato compagno, fece la stessa cosa intorno al tumulo di Patroclo.

Alessandro creò, ed era già presente nella narrazione generale delle persone che lo seguivano, nella visione della campagna militare, questo parallelismo, lui e Achille, Efestione e Patroclo.

Senza una valida storia gloriosa dietro di sé, e senza una discendenza divina Alessandro forse non sarebbe mai riuscito a conquistare l'impero Persiano.

O per lo meno non sarebbe riuscito a convincere migliaia di uomini a seguirlo in un'impresa che appariva agli occhi di qualsiasi uomo razionale completamente folle, in quanto l'impero Persiano era immensamente grande ed era dotato di forze davvero ingenti.

Anche se il discorso va più approfondito di così. Alessandro non insistette così tanto sulla sua discendenza divina solo per manipolare la realtà, solo per spianarsi la strada verso la gloria, di modo da impressionare il nemico. Il nemico era l'impero di Persia, il più grande al mondo allora conosciuto, non era facilmente impressionabile. C'era di più.

E' proprio della natura dei greci quella di ricordare, di immortalare la propria storia, tramite l'atto della scrittura e l'atto pratico della tradizione orale soprattutto.

Alessandro stava creando una leggenda, stava scrivendo la sua storia immortale con le sue gesta, in un modo ben preciso.

Innanzi tutto i Persiani centocinquant'anni prima dell'avventura di Alessandro il Grande invasero la Grecia, e la motivazione ufficiale del portar guerra all'impero di Persia era la vendetta e il recupero del prestigio del popolo ellenico.

Ma in realtà era il suo sogno, il suo scopo, la sua identità, la sua leggenda. I Greci avevano quest'attitudine, a vivere tramite le proprie storie, almeno tra la nobiltà funzionava così, erano le grandi storie e le leggende gloriose che venivano ricordate per sempre, con prestigio, e immortalate per sempre nella memoria collettiva. Un re pavido, tranquillo, che non aveva compiuto nessuna impresa, o aveva una qualche discendenza prestigiosa, oppure, di per sé, non era poi ricordato dalla popolazione, se non magari per un episodio o per qualcosa di particolare che era accaduto, ma la storia, la narrazione che dava di sé un re era tutto per i Greci.

Questo non perchè la popolazione fosse facilmente influenzabile e manovrabile, questo perchè le leggende e i miti greci parlano più che di semidei ed eroi, di essenze. Achille era l'essenza distillata del coraggio in battaglia.

Alessandro voleva rappresentare questo con le sue azioni, infatti spesso si esponeva moltissimo e in un modo quasi sconsiderato durante le battaglie, tant'è che spesso veniva ferito, anche gravemente talvolta. Molti re e condottieri, e questo lo vediamo già nell'Iliade con la diatriba tra Alessandro e Agamennone, che gli rimprovera a quest'ultimo di non combattere in prima fila, appunto, non si esponeva come faceva Achille, o come faceva Alessandro.

Questo dava forza alle truppe, dava forza ad Alessandro stesso, e conferiva sostanza alla leggenda che si stava formando, un misto di storia ed epica, di poesia e realtà.

Infatti quando si pensa ad Alessandro il Grande si pensa più che ai suoi capolavori di strategia militare, riuscì infatti a conquistare l'impero di Persia con poche abilissime “mosse”, si considera la grandezza del coraggio e della voglia d'avventura del personaggio storico, che ottenne, così, grazie alla sua ispirazione di avventurarsi al di là dei confini del mondo, un posto nell'immortalità della storia dell'occidente e del mondo tutto.

Senza dubbio entra qui in gioco la fascinazione dell'esotico mondo orientale, dal quale lo stesso Alessandro venne inghiottito, infatti adottò ben presto le usanze e i modi di vestire e di comandare tipici di un tiranno dell'Oriente, una cosa che ben presto gli provocò mancanza di consenso da parte dei suoi generali più fidati, tra i quali Clito il Nero, che fu ucciso da Alessandro, fuori di sé per il vino e per i suoi frequenti attacchi d'ira.

Oggi non possiamo stabilire con certezza un profilo preciso della figura di Alessandro, essendo così imbevuta la sua storia di misticismo, voglia di scoperta, fascino per l'ignoto e per l'oltre, per lo scavalcare e oltrepassare qualsiasi confine e limite umano. Tuttavia possiamo affermare con certezza che la sua avventura rientra nell'immaginario collettivo come una delle più titaniche imprese che un uomo occidentale compì nell'antichità, entrando a far parte dell'Olimpo degli eroi antichi, leggendari e non.

Siamo portati a pensare, tramite la tradizione classica e i canoni estetici del “kalòs kaì agathòs”, armonioso, bello e valoroso, che gli eroi antichi siano tratteggiati da queste caratteristiche. Armonia, bellezza, e valore, quindi il buono e il bello coincidono, la prestanza fisica e la forza sono i valori fondanti di una società guerriera come quella dei Greci antichi. Ricordiamoci che erano anche filosofi, storici e poeti, ma soprattutto, per la gran parte, erano combattenti.

Figure come quelle di Alessandro rappresentano la “summa” di queste caratteristiche di armonia e bellezza e valore in battaglia perchè le rappresentano tutte.

Lo stesso Achille era solito suonare la lira e cantare di antichi eroi. Vi è quindi una comunanza, una stretta correlazione, un nodo, tra le figure degli eroi, la poesia, l'arte e il gusto per il bello in genere.

Anche se i Greci insieme al gusto del bello combinano sempre il gusto e il fascino per l'ignoto. Come in una sorta di dualismo, l'eroe è anche, nella tradizione tragica questo più che altro avviene, un uomo che compie degli sbagli, a causa della sua tracotanza nei confronti degli dei, e quindi del Fato stesso.

Nessun uomo può sfuggire ai capricci del Fato, e nella gran parte dei casi, nemmeno nessun dio può sfuggire al Fato e alla Necessità. Tyke e Ananke sono le due divinità corrispondenti.

Aiace si getta sulla sua spada, suicidandosi, Eracle impazzisce e uccide i suoi stessi figli, Agamennone, ritornato in patria, viene assassinato a seguito di un complotto ordito da Clitemnestra. Tutto determinato dal Fato.

L'eroe antico è bellissimo e valoroso, ma glorioso nella sua tragicità, nel suo titanico opporsi ai limiti umani, trascendendoli in maniera quasi impossibile tramite la sua storia, la sua leggenda, il suo mito. Per questo gli eroi antichi si presentano come figure a metà tra la fantasia e la realtà. Per questo ogni buon condottiero antico sapeva bene l'importanza di portare con sé in una campagna militare uno storico, un poeta, uno scultore, un cantastorie, un'artista in genere.

E' tramite le opere artistiche che la gente trovava il suo fondamento per la sua vita di tutti i giorni, e tramite esempi gloriosi che la gente trovava la forza di continuare a vivere.

Erano anche esempi utili per il comportamento e per l'etica comune. Nella mitologia greca troviamo moltissimi esempi pratici di come per esempio va spartito un bottino di guerra, oppure di come si governa un nuovo territorio conquistato, o come si corteggia una donna, o di come si coltiva un campo, e così via.

Tramite la fantasia gli uomini antichi vivevano la realtà. Questo è molto affascinante, perchè è così distante dalla nostra visione contemporanea del mondo, eppure così vicino, così presente in noi, che non possiamo fare a meno che guardare con ammirazione a opere monumentali come l'Iliade, o l'Odissea, dove nonostante l'eroe sia l'astuto e saggio Odisseo e non l'impulsivo e feroce Achille, la battaglia rappresentata è sempre la medesima, sempre la stessa, la contrapposizione tra uomo e capricci degli dei e del Fato.

Si capisce bene come, con una tradizione del genere ben presente in sé, Alessandro, prima d'iniziare la campagna di conquista della Persia, si assicurò di essere figlio di un dio, oppure no. Faceva moltissima differenza avere il favore degli dei, e quindi degli astri stessi, del Fato stesso, di tutto ciò che è mistico e al di là della totale comprensione mortale, ma soprattutto, era fondamentale addirittura esserne un discendente.

Alessandro si pose come diretto discendente di quella grecità eroica che aveva dato origine alla guerra di Troia e quindi anche al senso di ciò che è l'epica.

E se ne fece portatore diretto di un fardello, di un compito, di una missione ben precisa, la sua stessa esistenza era votata necessariamente al superamento di qualsiasi limite, per questo si spinse fin dove solo Dioniso o Eracle si erano spinti, addirittura in India. Guardando le mappe dell'epoca l'India era vagamente rappresentata, con il fiume Oceano che avvolge le terre emerse, ma non era di certo conosciuta, per i più, oltre l'impero Persiano non vi era più nulla, vi era l'ignoto, il vuoto / pieno di un fiume Oceano che si stende fino alle possenti braccia del titano Atlante, che sorregge il mondo sulle sue spalle.

Alessandro si spinse dove nessun altro, se non nell'epoca del mito, si era spinto, per questo la sua storia si annovera tra quegli esempi estetici tra fantasia e realtà, tra poesia e storia, tra epica e fatti realmente avvenuti di cui la storia antica e medievale è piena e dai quali la letteratura fantastica prende spunto e ispirazione, soprattutto nei generi più legati all'epica, con una mistura di stregoneria, ossia ciò che per i Greci antichi erano gli oracoli e il misticismo tutto, e di spada, ovvero le imprese belliche vissute non nelle retrovie come un qualsiasi pavido re qualunque, ma in prima fila, rischiando la propria stessa vita, per avere un posto nell'immortalità della storia e dell'epica, come fece Alessandro il Grande.

Erano moltissimi i re e i combattenti valorosi che guerreggiavano tra le prime file del loro stesso esercito, ma non vi era nessun re che era stato proclamato dall'oracolo di Zeus Amon come figlio di un dio.

Un giovane Alessandro ebbe come precettore Aristotele, il filosofo, che instillò in lui l'amore per gli antichi eroi della grecità, Achille sopra tutti gli altri. Durante la sua immensa avventura verso oriente si tramanda che Alessandro portasse sempre con sé e leggesse quasi tutte le sere prima di coricarsi l'Iliade, come se vivere di una storia gli desse la forza di continuare con la sua personale leggenda, e soprattutto continua e rinnovata ispirazione.

I suoi stessi uomini, oltrepassati i confini del mondo allora conosciuto, si spaventavano vedendo costellazioni a loro ignote, non riconoscevano nemmeno più il cielo stellato sopra le loro teste, e questo gli provocava smarrimento e sconforto. Alessandro, invece, guardava  quelle stelle sconosciute e pensava di essere nella direzione giusta, oltre.


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