Più che un racconto, 'La bella estate, è un dipinto o, ancora meglio un ritratto; il ritratto della Torino borghese e di quella dei lavoratori, di queste due realtà contrastanti che s'incontrano, si mescolano e si confondono a vicenda come le persone che la popolano. Ambienti culturali, salotti borghesi,camere di pittori e poi i portici torinesi, le campagne fuori città, e musica e fumo e alcool, questi sono gli ambienti e le situazioni tipo in cui i personaggi, principalmente ragazzi adolescenti si muovono.
Bisogna dire, per correttezza di forma che, il racconto 'La bella estate, può essere inserito ( e molto spesso lo è) in una trilogia di racconti ( gli altri due sono 'Il diavolo delle colline' e 'Tre donne sole') che hanno come tema portante Torino nel post guerra. E così anche il nostro racconto, che racconta la ripresa economica e gli anni '50 attraverso gli occhi della protagonista, grande lavoratrice che, dopo i sacrifici della guerra, si concede finalmente gli sfizi estivi di un'adolescente comune. I ricordi della guerra sembrano essere cancellati dentro risate e balli incantevoli, mentre l'erotismo e la libertà che cela dentro di sé, sembrano scoppiare nel caldo di un estate in città.
Come sempre il linguaggio pavesiano rimane criptico nella sua limpidezza e nasconde una malinconia nelle parole più comuni o nelle situazioni più felici. Tutto sembra camminare sul filo del rasoio, ad ogni passaggio senti che ogni cosa potrebbe sgretolarsi e poi la maestria di Pavese nel raccontare l'insoluto, sorprendendo con l'inatteso come fa la bellezza in un giorno qualunque.
Inutile dire altro, sarebbe superfluo e rischierebbe di rovinare la magia di qualche cosa di perfetto.
Impossibile non leggerlo almeno una volta nella vita.