Di certo sappiamo che è il simbolo dell’orgoglio nazionale irlandese; e non è poco, considerando che si tratta “del libro più antico del mondo”, come ebbe a scrivere in occasione del suo furto, nel 1874, il Birmingham Daily Post and Journal, che riportava per lo stesso il valore di 12.000 sterline suonate. L’UNESCO lo ha inserito nel Registro della Memoria del Mondo, qualcuno lo definisce addirittura “l’oggetto più prezioso del mondo occidentale” (Christopher de Hamel). Per avere un’idea dell’importanza del testo di cui stiamo trattando, basti pensare che è presente su di un taglio commemorativo da 20 euro emesso nel 2012, che ogni pub irlandese si ispira, bene o male, poco o tanto, alla sua scrittura; persino le decorazioni dei canovacci e sui francobolli presentano scorci delle sue magnifiche miniature…
In occasione del predetto furto del 1874, l’opera venne precisamente datata al 475 d.C., o in alternativa, secondo la datazione paleografica odierna, ad un più impreciso VIII secolo d.C.; il Libro di Kells rimane quel che è: un manoscritto dei quattro Vangeli, di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, nella traduzione latina di San Girolamo (Sofronius Eusebius Hieronymus) con alcune varianti e testi di prefazione. Conservato nell’ala est della biblioteca del Trinity College di Dublino, con la segnatura MS 58, il libro fa bello, meraviglioso sfoggio di sé ai turisti in una teca oscurata denominata “Il Tesoro”; una teca che non solo è a prova di muffe ed agenti patogeni ed ossidanti, ma pure a prova di ladro, già, perché il libro venne trafugato anche nell’Anno Domini 1007, come appare negli Annali dell’Ulster, pare da una banda di vichinghi interessati più all’oro della copertura che al contenuto magistralmente elaborato. Il Libro di Kells (detto anche “Leabhar Cheanannais” in Gaelico, ove Cennanas è l’antico nome di Kells, cittadina famosa per l’antica abbazia, fondata da monaci originari della località di Iona) è stato realizzato da monaci irlandesi nell’ambito dell’arte insulare, ed è davvero uno dei massimi capolavori dell’arte cristiano-occidentale, al punto che le misure di sicurezza adottate per la sua protezione sono paragonabili a quelle per un capo di stato.
In realtà, più che di “Libro”, sarebbe opportuno parlare di quattro “Libri”, uno per ogni Vangelo, conservati nella cassettiera progettata da Roger Powell, il più famoso artigiano legatore britannico del novecento, chiusi da molle a balestra in rame. Il testo è in pergamena (cartapecora o carta pecudina) di alta qualità e di spessore irregolare, composto da 340 carte o folia, la maggior parte dei quali è parte di più ampi fogli, i cosiddetti bifolia, piegati in due e cuciti. Alcuni fogli invece sono inseriti singolarmente. È scritto in inchiostro nero, rosso, porpora e giallo, in maiuscola insulare, una scrittura tipica dell’Irlanda e della Gran Bretagna.
Incredibile appurare come in un volume così raffinato vi sia pure spazio per degli errori, dei refusi dei copisti. Ad esempio; nella genealogia di Gesù, Vangelo di Luca, è stato aggiunto un antenato in più, o meglio un antenato è stato… diviso in due.
https://www.sacred-texts.com/neu/celt/bok/bok20.htm
Inoltre, come riportato erroneamente dal Vangelo di Matteo, Gesù dice di sé stesso, non veni pacem mittere, sed gaudium (non sono venuto a portare la pace ma la gioia!).
Esistono altri codici, alcuni anche in possesso dello stesso Trinity College di Dublino, come ad esempio il Libro di Mulling, il Dimma, il Durrow, la Ghirlanda di Howth (Codex Usserianus Secundus), ed il Codex Usserianus Primus, per un totale di 6 codici straordinariamente elaborati; ma nessuno dei predetti può competere realmente con il Libro di Kells, neppure il celeberrimo Evangeliario di Lindisfarne, custodito al British Museum di Londra. Il Libro di Kells rimane l’indiscussa superstar, anche se è vero che libri di siffatto pregio ed imponenza dovevano già costellare il panorama artistico ed intellettuale del Medioevo. Fu il tempo, con il suo lento logorio, a trasformare il volume più importante del Trinity College nel volume più importante del mondo! Giraldo Cambrense (grande intellettuale gallese vissuto fra il XII e il XIII secolo) ebbe modo di vedere un codice molto simile a Kildare, e lo descrisse come quasi eccessivo nelle decorazioni, ed in effetti lo era senza dubbio.
Ciò che più colpisce, o meglio, ciò che più vi è di importante in questo testo, secondo Cristopher de Hamel, non sono tanto le splendide miniature, dagli echi orientali (come orientale è il cristianesimo del quale è impregnato) ma le pagine scritte, molto elaborate, con una calligrafia semionciale – detta “maiuscola insulare” - pregiatissima, data con tocco sicuro e magistrale.
Le immagini rappresentate nelle miniature sono in alcuni casi molto sgraziate (si veda l’immagine della Vergine col Bambino, ritenuta essere peraltro la prima rappresentazione in questo senso nell’arte europea), ma tale condizione è forse dovuta più a motivi iconografici che ad una scadente esecuzione tecnica, perché poi, in effetti, i motivi ad ornamento del bordo dell’immagine sono di una raffinatezza unica.
Il contenuto del Libro di Kells è ancora più antico del supporto fisico sul quale è scritto. Se sappiamo che esso venne vergato e forgiato nell’VIII secolo d.C., è pur vero che le idee ivi contenute sono davvero molto antecedenti a tante formulazioni teologiche susseguitesi nei secoli (anche quelli “bui”). De Hamel riporta quanto evidenziato nel primo, serio studio paleografico condotto da John Westwood, nella sua Palaeographia Sacra Pictoria, nella quale afferma che “le diverse lezioni di questo manoscritto sono altrettanto importanti dei suoi capilettera ornamentali”. Come dice De Hamel:
Westwood attirò l’attenzione su una frase contenuta nel testo di Giovanni 3,5-6. È il passo in cui Nicodemo chiede a Gesù in che modo si possa rinascere spiritualmente, e Gesù gli risponde che quel che è nato dalla carne è carne, ma quel che è nato dallo spirito è spirito. Il Libro di Kells aggiunge “quia deus spiritus est et ex deo natus est”, “poiché Dio è spirito ed è nato da Dio”.
Queste parole sono una citazione da Tertulliano, che non fu mai Padre della Chiesa a motivo della sua vicinanza ad alcune eresie, ma fu comunque uno dei più grandi apologeti ed intellettuali della prima cristianità (basti pensare all’introduzione del concetto di “Persona” nella Trinità, o il motto Credo quia absurdum); in ogni caso nella Bibbia moderna – cioè quella stampata negli ultimi secoli – le parole non sono più riportate, in quanto la frase è stata estrapolata dal Vangelo ariano, che non riconosceva la Trinità. In questo senso possiamo anche notare le enormi influenze latine sul testo stesso, e sull’Irlanda in generale, lungi dunque dall’essere la terra isolata che spesso crediamo!
L’errore cui si accennava sopra, nel Vangelo di Luca, riguardo la genealogia di Gesù, ossia quella relativa all’antenato “Maat, figlio di Mattatia”, reso in latino come “Maath, qui fuit Matthathiae”; può darsi che nel manoscritto che funse da “originale” per la copia il lungo nome di Matthathiae fosse spezzettato in due righe, e che il copista del Libro di Kells abbia ben pensato (forse in buona fede) si trattasse di un antenato in più! Dunque il Libro di Kells è un testimone abbastanza mediocre del contenuto del Vangelo in sé. E quindi perché è tanto famoso?
I codici miniati dell’epoca erano opere d’arte, prima di tutto… e non necessariamente un’opera d’arte veicola un messaggio vero o coerente. I codici erano soggetti ad una venerazione assoluta, per il pregio e per la raffinatezza iconica. Dobbiamo considerare che l’Europa non fu soggetta alla ventata iconoclasta che colpì l’Oriente bizantino in quel periodo, anzi, fu proprio papa Gregorio IV (come un certo numero di papi prima di lui), nell’843 a fermare la spregiudicata distruzione delle immagini, le quali sarebbero state usate molto spesso come mirabile strumento pedagogico, apologetico e di proselitismo. Il Libro di Kells non faceva eccezione da questo punto di vista, e non fa eccezione tuttora… basti pensare che la stragrande maggioranza dei turisti che si affaccia alla teca, ammira le immagini, le miniature, ma non si adagia certo a consultare il testo!
Del Libro di Kells vennero fatte numerose copie, ne possedeva una pure James Joyce, il quale notò che pur essendo un testo di altissimo pregio, era davvero… troppo… troppo tutto, e che quindi non si poteva neanche leggere come una narrazione. Lo stile di Joyce nel descrivere la cosa è unico e originalissimo, come riportato da De Hamel: “la quantatroppità di tutte quelle emme quadrupedi; e perché scrivere dio mio con una dhee grande e grossa (perché, o perché, o perché?): la banalità della acca e la forma assennata della semifinale ; e, per diciottesima o ventiquattresima cosa, ma almeno, grazie a Maurice, quando finalmente fu detto e fatto, la pazienza penelopiànica della paràfa finale, un colophon di non meno di settecentotrentadue tratti con la coda di un legante lasso…”
Il Libro di Kells ispirò questo e molto altro; per quanto discutibile sotto il profilo del contenuto “evangelico”, in esso, perdonate la ridondanza, è contenuta la memoria della nostra civiltà, la memoria dell’Occidente; ricordiamocene, poiché senza memoria – soprattutto scritta - non c’è futuro…
A. Cremonese
Ecco una risorsa multimediale interessantissima; il Libro di Kells digitalizzato!
https://digitalcollections.tcd.ie/concern/works/hm50tr726?
FONTI:
Storia di dodici manoscritti – Cristopher De Hamel – Mondadori, 2017, pg. 98-141
https://it.wikipedia.org/wiki/Iconoclastia
https://it.wikipedia.org/wiki/Libro_di_Kells#CITEREFMeehan_1994
Immagine di copertina da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/8e/KellsFol292rIncipJohn.jpg