Due parole sul Sessantotto

Due parole sul Sessantotto
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Un tempo molti credevano ciecamente nel collettivismo totale di Marx. Volevano tutto subito e volevano l'immaginazione al potere. Mischiavano qualsiasi cosa allora dal punto di vista culturale. All'inizio fu la ribellione nei campus americani e il maggio francese. La contestazione giovanile fu fatta da molti elementi: i miti di Che Guevara, Mao, Feltrinelli, Don Lorenzo Milani, Bob Dylan e Joan Baez, la Controcultura, la psicanalisi, il femminismo, inizialmente anche la nonviolenza, Marcuse, la rivoluzione culturale, la primavera di Praga, gli scontri di Valle Giulia, le facoltà occupate, la protesta contro la guerra nel Vietnam, i figli dei fiori, l'affermazione del potere studentesco, le assemblee, le manifestazioni, le lotte contro la retorica della famiglia e della patria. L'importante era ribellarsi al conformismo, all'autoritarismo, al paternalismo, alla tradizione. Si doveva fare tabula rasa perfino della storia: in una parola sola doveva essere ucciso il padre. Nel Sessantotto infatti era preponderante non solo il lato politico ma anche quello freudiano. C'era anche chi idolatrava la beat generation e chi invece guardava ad Oriente. E le donne? Alcune si emanciparono, ma nessuna divenne leader studentesca. Vennero relegate ai margini. Le più belle facevano le compagne dei leader. Erano tempi di fantasie ardite, che si rivelarono in seguito voli pindarici. Infatti queste utopie/fedi si sono dissolte nel giro di pochi anni. Gli anni ottanta hanno distrutto tutto. Ci fu il cosiddetto riflusso. L'anarchia sarebbe risultata troppo drastica ed eversiva. San Max Stirner sarebbe inoltre forse risultato controproducente per la coesione della società. Secondo Godard i contestatori erano figli di Marx e della Coca-Cola. Insomma nessuno poteva sfuggire al proprio destino di cittadino occidentale. L'internazionalismo comunista invece è crollato insieme al crollo del muro di Berlino. La cultura operaia purtroppo non venne mai adeguatamente rappresentata nel tempo che fu. Quell'epoca fu contrassegnata da cattivi maestri, che lanciavano il sasso e poi nascondevano la mano. Giunsero così gli anni di piombo. Gli operai rimasero da sempre sullo sfondo. I socialisti, i liberali, i democristiani, i fascisti non alzarono mai la voce per le ingiustizie. Si comportavano da veri reazionari di fatto e giustificavano il modo di essere di un sistema fallace. Il cittadino era un topo nel labirinto e nessuno gli indicava la via di uscita. Oggi almeno siamo dei topi in trappola: sappiamo la fine che ci attende e non nutriamo più alcuna speranza. I sessantottini sono invecchiati. Molti si sono imborghesiti. Alcuni sono morti giovani per l'eroina. Altri, una esigua minoranza, si sono dannati l'anima con il terrorismo. I loro figli sono completamente diversi. Non credono negli ideali dei loro padri. Forse non credono neanche nei loro esempi. Ad aumentare il gap generazionale sono stati internet, le nuove scoperte scientifiche, le nuove mode, lo strapotere delle multinazionali e dei mass media, la new age, le nuove droghe sintetiche, lo sballo del sabato sera, l'hi tech, il divario digitale, nuovi miti ed idoli del mondo del cinema, della TV , dello sport e della canzone. La creatività e l'allegria tipica delle civiltà latine sono scomparse oramai. Sono rimasti la concezione biblica del lavoro (considerato quindi come sofferenza), la competitività della società occidentale, la precarietà lavorativa. Tutto ciò ha causato una conflittualità fisiologica persistente nel mondo del lavoro. Ma più forte di tutto è l'angoscia di ritrovarsi per sempre a bordo campo, ovvero senza uno straccio di lavoro da un momento all'altro. Impossibile sapere chi ha ragione, chi dovrebbe ampliare i suoi orizzonti e chi invece dovrebbe immaginare nuovi orizzonti. La domanda cruciale è questa: potevano i sessantottini cambiare il sistema oppure era una cosa più grande di loro? Ed ancora viene da chiedersi se si possono veramente pensare responsabili di quel che è successo dopo. Forse si credevano lungimiranti ed invece non era così. Forse sono stati compiuti in gran parte peccati d'omissione da parte delle generazioni più anziane. Ma è difficile dirlo. D'altronde i sessantottini erano giovani colti, seri e preparati, ma erano in pochi e non avevano il potere dalla loro parte. Il potere li contrastò sempre e cercò sempre di indurli in errore. La lotta non era ad armi pari. Cosa potevano fare? Cosa è rimasto dei sogni del Sessantotto e anche del settantasette? Quasi niente ormai. Purtroppo.

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