26 marzo: giornata nazionale in onore del sommo poeta italiano, universalmente conosciuto, Dante Alighieri. Eppure quest’anno, i suoi settecento anni vengono festeggiati all’insegna di una polemica nata a partire dalla traduzione di un articolo pubblicato sul giornale tedesco Frankfurter Rundschau, da Arno Widmann.
Arno Widmann – come ci tiene anche a specificare in un suo post su Instagram Roberto Saviano, che conosce il tedesco da ben dieci anni – non ha fatto altro che creare un lunghissimo articolo di analisi, proprio nel giorno in cui noi italiani festeggiamo la grandiosità del nostro Poeta, sull’opera principale di Dante: la Divina Commedia. Checché se ne dica, Widmann non ha affatto criticato Dante, definendolo “arrivista e plagiatore” come la maggior parte delle testate italiane – che si sono basate su una traduzione scorretta ed esageratamente travisata dell’articolo originale – avrebbe affermato.
Widmann, grandissimo conoscitore della cultura e della letteratura nostrane, ha specificato che, seppur sia vero che Dante abbia fatto sì che la lingua del volgo, futura lingua italiana, si sviluppasse e si affermasse pian piano, questa non è una spiegazione completa. Non dice, quindi, che sia una spiegazione sbagliata, come si afferma in queste traduzioni sbagliate: semplicemente, non è completa. Questo perché, sebbene possa non essere noto, è vero che Dante prende ispirazione dai provenzali che, proprio in quel periodo, cominciarono ad imporsi linguisticamente e culturalmente nella nostra Penisola.
È anche vero, però, che mentre i provenzali producevano quasi esclusivamente opere amorose, Dante si ispirò – non plagiò, è ben diverso – alla loro lingua per portarla ad un gradino più in alto e cominciando a costruire quella che poi diventerà l’opera mundi per eccellenza. Questo è quello che dice Widmann nel suo articolo; da nessuna parte afferma, neppure implicitamente, che Dante sia stato un plagiatore, né tantomeno che l’Italia abbia poco da festeggiare.
Il secondo punto più importante che ha scatenato questa grossa e sterile polemica riguarda il fatto che Arno Widmann avrebbe sostenuto che Dante abbia “copiato” la cultura araba per strutturare la sua Commedia. Ancora una volta non è questo quello che il giornalista e critico letterario tedesco ha voluto comunicare. Piuttosto ha – a ragione – affermato che Dante, nella sua costruzione di Inferno, Purgatorio e Paradiso si sia semplicemente ispirato all’idea che la cultura araba e la religione musulmana hanno dell’aldilà. Anche qui la differenza che intercorre tra “ispirazione” e “plagio” è abissale e dovrebbe essere tenuta in considerazione nella traduzione di un pezzo in lingua straniera.
Il fatto, poi, che Arno Widmann abbia detto che a Dante sia piaciuto giocare “a fare Dio” nella sua opera, inserendo gente conosciuta o meno in Paradiso, nell’Inferno o nel Purgatorio come se nulla fosse è stata la ciliegina sulla torta. La goccia che ha fatto traboccare un vaso pieno d’acqua sporca e, appunto, imbevibile. Infervorarsi, accanirsi su un tale dettaglio è simbolo di una scarsa conoscenza dell’opera dantesca qui analizzata o, quantomeno, di un’incapacità nel leggere tra le righe di quest’opera. Chi, se non Dio, ha il diritto di decidere chi debba andare all’Inferno e chi al Paradiso? E, quindi, cosa sta facendo Dante nel decidere chi debba andare dove, se non fingere – “giocare a”, appunto – di essere Dio? È forse un’offesa nei confronti di Dante, questa? Affatto, si tratta di semplice esposizione dei fatti.
Tutto questo discorso, che, di per sé, lascia il tempo che trova, viene peggiorato dalle due figure politiche, Salvini e Franceschini che hanno deciso di dare il loro contributo in questa questione, ergendosi a difensori della cultura e della letteratura italiana, forse senza aver prima controllato e verificato la veridicità delle traduzioni che dell’articolo son state fatte. Ha spopolato, infatti, il tweet di Franceschini a riguardo: “Non ragioniam di loro, ma guarda e passa”, citando, quindi, un famoso passo preso dalla stessa Divina Commedia di Dante. Eppure, forse, le due figure in questione sono ancora ignare e inconsapevoli del fatto che si siano affidati a fonti sbagliate per il loro intervento.
Hanno scelto il momento sbagliato – o, se non sbagliato, fragile come un castello di carta – per imporsi come pseudo-eroi della patria. Si potrebbe quasi dire che il loro sia stato un debole e povero tentativo di mettersi ancora una volta sotto i riflettori, fallendo miseramente.
Ci sarebbe da chiedersi come mai un articolo di semplice analisi dell’opera dantesca sia stato talmente travisato, fino a sfiorare l’inverosimile e, soprattutto, ci sarebbe da chiedersi come sia possibile lasciar passare informazioni false, come se nulla fosse, prima di controllarne la veridicità effettiva.
Anna Illiano