Wanna Zambelli La prima liutaia diplomata in Italia! Solamente terza nel mondo

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Wanna Zambelli è la prima liutaia italiana diplomata alla Scuola Internazionale di liuteria di Cremona, conosciuta oggi come Istituto di Istruzione Superiore Antonio Stradivari.

Wanna Zambelli, con i suoi allievi, l'ultimo giorno di insegnamento, alla Scuola Internazionale di Liuteria Antonio Stradivari

Qui, trascorrerà 44 anni, trasmettendo la sua passione e competenza a ragazzi di tutto il mondo ed essendo, dal 1974, a soli 21 anni, anche la prima insegnante donna di Liuteria..

Nel 1973, è stata premiata come miglior liutaia, sotto i 30 anni, con il conferimento della medaglia d'oro con targa del Premio Simone Fernando Sacconi.

Grazie anche all’influenza di Sacconi, l’arte della liuteria a Cremona, ha cominciato a rivivere gli antichi fasti dell’epoca di Stradivari, vedendo moltiplicarsi le botteghe, così come il numero di studenti interessati a frequentare la Scuola di Liuteria.

Simone Fernando Sacconi è stato un maestro liutaio e un restauratore di fama internazionale, nato nel 1895, romano di nascita e cremonese di adozione, si è trasferito negli Stati Uniti nel 1931.

La Scuola di Liuteria esiste dal 1938: la prima allieva donna è stata una ragazza svizzera, negli anni Sessanta, poi una ragazza francese che frequentava il quarto anno, quando Wanna Zambelli ha iniziato a frequentare.

Pur schiva e taciturna, Wanna ha accettato di rispondere alle nostre domande.

Maestra Zambelli, vuol raccontarci delle sue origini famigliari e come è giunta a scegliere la Scuola di Liuteria?

Sono nata nel 1953. Convivo da cinquant’anni. Non ho figli, mi sono data alla liuteria: già è difficile fare qualcosa e cercare di farla bene,  secondo me, una persona deve seguire la propria indole.

Non mi sembrava il caso di complicarsi la vita.

Io non ho mai sentito un forte senso materno o forse, se l’ho avuto, l’ho espresso ogni giorno insegnando.

Sono originaria di un piccolo paese in provincia di Cremona, al confine con le province di Mantova e di Brescia, si chiama Volongo.

Per andare a scuola a Cremona, partivo da casa alle sette del mattino e tornavo la sera alle otto.

Mi ricordo che mia madre stirava ancora col ferro scaldato sul fuoco, mi ricordo quando abbiamo preso il primo frigorifero, per non parlare della televisione! Abitavamo allora tutti insieme coi nonni paterni: Il nonno Domenico aveva poca terra di proprietà e altra a mezzadria e qualche animale.

E così, con il poco lavoro che c’era, mio padre andava con le macchine agricole a trebbiare, a tagliar l’erba, a imballare il fieno da  altri contadini:

era artigiano insomma.

Mia mamma è sempre stata in casa, faceva la sarta e lo ha fatto tutta la vita.

All’epoca le ragazze, quando terminavano le scuole medie, andavano a lavorare in fabbrica.

Io invece non avevo nessuna voglia di finire in fabbrica: non era pensabile stare alchiuso tutte quelle ore.

Guardando il film L’albero degli zoccoli, ambientato nelle zone dove abito, le situazioni non erano poi tanto cambiate.

E allora rimaneva la possibilità di continuare a studiare. I licei li ho esclusi perché non era nella mia mentalità organizzare lo studio.

A me piaceva chimica, e così sono stata iscritta un anno all’Istituto Tecnico.

Ho capito subito però che dovevo puntare su un lavoro dove era visibile quanto realizzavo: matematica o fisica, non mi davano quello che cercavo. E neanche diventare maestra o segretaria d’azienda mi interessava: sapevo cosa non volessi.

Finché Alberto Tira, un professore che insegnava pittura alla Scuola d’Arte del paese, disse a mia mamma:

Perché non la iscrivete alla Scuola di Liuteria?

Fin dai primi giorni mi sono trovata benissimo. Mentre all’ITIS eravamo molti per ogni classe. Alla Scuola di Liuteria eravamo dieci allievi in tutto, di anni diversi, eravamo come una famiglia.

Mi piaceva mettermi al banco da lavoro e capire come dovevo fare

E così ho trovato la mia strada.

Ancora prima di finire la scuola, uno dei miei insegnanti, il Maestro Francesco Bissolotti, mi ha chiesto di andare a lavorare nella sua bottega.

Ricordo il mio primo maestro, Pietro Sgarabotto: era un maestro all’antica maniera, col fiocco sul grembiule da lavoro e i capelli lunghi da artista: sosteneva che, guardando lo strumento, si capisce  la persona che l’ha realizzato.

In effetti è così: se è costruito rispettando tutti i crismi, se è fatto uno alla volta, a mio parere, si imprime nello strumento anche un po’ di quanto prova  chi lo crea nell’istante in cui  lo realizza.

Con gli anni si capisce che non è tanto importante fare i violini proprio perfetti, ma è importante dargli un po’ di personalità.

Nel frattempo, la Scuola si era molto ingrandita, così nel 1972 mi sono diplomata e nel ‘74 sono diventata  insegnante.

Fino al ‘93 ho mantenuto anche il mio laboratorio, poi ho chiuso perché le spese erano troppo alte.

Tra gli insegnanti della scuola sono sempre stata l’unica donna. Le classi erano piccole e chi frequentava aveva spesso età molto diverse, perché dall’estero si iscrivevano, anche dopo aver frequentato le superiori o l’università: ricordo di aver avuto persino uno studente in pensione.

Ora a Cremona  sono  presenti anche alcuni laboratori con titolari liutaie donne,  molte però hanno famiglia con tutto quello che consegue... e capita che poi chiudano.

Secondo me artigiani si nasce: nessuno mi ha spinto! Certe volte ci penso al perché ho scelto questo mestiere, e non riesco a capirlo. Non mi sarebbe piaciuto prendere ordini da qualcuno, questo sì. Però non si spiega con questo la mia scelta. Forse c’è un motivo che ti spinge a scegliere un’attività che stimoli anche te stessa.

A Scuola la cosa più difficile da far capire era  quella di spiegare ad una persona  che deve provare piacere nel costruire uno strumento:

Farlo solo pensando al guadagno, e farne cinque consecutivamente perché si hanno necessità finanziarie, è comprensibile, ma non va bene.

Ci vuole predisposizione per la liuteria, io il talento non lo posso insegnare.

Pochissimi hanno l’istinto e la velocità di comprendere come si deve fare, ma gli altri, con una mentalità diversa, non significa che non diventeranno buoni artigiani.

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Wanna Zambelli con l'allievo, Tongtong Gao, attuale Direttore della Scuola di Liuteria nel Conservatorio di Pechino,
in posa con il suo quartetto classico prima della verniciatura.

                                         Cremona, aprile 1995


Ho visto ragazze che iniziano, poi se nessuno sa stimolarle lasciano perdere, scelgono il loro ruolo nella famiglia o svolgono altri lavori.

Questo mestiere bisogna proprio volerlo.

Suona qualche strumento?

Io non suono, sono arrivata alla liuteria per altre strade, d’altronde della mia generazione, in Italia, in quanti potevano suonare?

Anche se avessi voluto, non avrei potuto trovare chi mi insegnasse, e neppure comprare uno strumento.

Avevo imparato a suonare un po’ alla Scuola di Liuteria, dove è obbligatorio studiare musica, però poi ho dovuto decidermi: non si può suonare e lavorare insieme.

Vuole spiegarci la tecnica di costruzione di un violino?

La tecnica di costruzione è la stessa dall’epoca di Stradivari, il famosissimo liutaio, vissuto tra la seconda metà del 1600 e la prima metà del ‘700. I I  suoi strumenti sono ricercati dai migliori musicisti internazionali ed esposti nei più importanti musei di tutto il mondo.

Gli strumenti vengono costruiti ancora con le stesse lavorazioni e tecniche di quattro secoli fa: ogni pezzo rimane quindi unico, così come il suono che produce. Sono costruiti dai liutai interamente a mano: partendo da un pezzo di legno, impiegando almeno 200 ore per un violino, incollando all’incirca 72 parti.

Un lavoro di passione e precisione.

Credo che una delle caratteristiche necessarie per essere un bravo liutaio sia la pazienza

Per il violino si usano due legni diversi, a seconda della parte che si vuole costruire: l’acero dei Balcani serve per il fondo, le fasce ed il manico, perché è un legno duro e per le sue caratteristiche naturali. L’abete rosso delle Dolomiti, detto anche abete di risonanza, si usa invece per la tavola, parte superiore della cassa.

Per costruire un violino, certe misure sono fisse: la misura della lunghezza del manico per esempio è fissa, perché sul manico di un violino  sono sprovvisti dei  tasti della  chitarra: la nota è determinata dalla posizione della mano, la lunghezza del manico deve essere sempre uguale, anche il peso deve essere rispettare  un certo limite.

La forma invece varia sempre, di solito i musicisti scelgono la forma che desiderano: modelli di violino già esistenti,  uno può volere un violino tipo Amati o Stradivari oGuarneri.

Ma bisogna distinguere tra modello e copia di un violino storico: se lei mi chiede una copia del Cannone del Guarneri. legno, colore e forma devono essere identici. Cannone, ricordiamo, è il nome di un violino storico suonato da Niccolò Paganini, famoso per la potenza del suono, dal quale  ha preso il nome.

A me piace tutta la fase iniziale, soprattutto iniziare un violino e scolpirne la testa, dopo la chiusura della cassa, la rifinitura è di alta di precisione.

Il carattere dello strumento si vede nelle bombature, nelle “ff” (effe), come sono realizzate, e nella testa soprattutto: un lavoro che potrebbe fare qualsiasi intagliatore, la difficoltà è fare i due profili uguali e simmetrici.

La forma della testa il riccio può variare leggermente dai canoni fissati in età barocca, ma sono variazioni che posso notare io.

Le effe, le due caratteristiche aperture sulla cassa armonica, favoriscono la fuoriuscita del suono, ma bisognerebbe parlarne in termini di fisica acustica.

Ci sono comunque diversi modelli di ff a seconda dell’autore di riferimento. L’anima la si introduce al termine.

L’anima è un cilindretto di legno d’acero che si colloca all’interno della cassa del violino, tra il fondo e il coperchio: la tavola,  punto dove fa forzail ponticello su cui passano le corde, varia anche da strumento a strumento.

La si infila internamente con un ferro, una specie d’uncino, e deve essere incastrata leggermente nella posizione corretta: per poterlo fare si guarda dentro il violino attraverso un foro sul fondo, nel quale poi si applicherà il bottone, da cui partiranno la cordiera e le corde.

L’anima serve a trasmettere le vibrazioni dal fondo alla tavola ed è in comunicazione con  le due parti.

Quanti violini ha creato?

In tutta la mia vita, io non ho fatto molti strumenti, non più di tre o quattro l’anno.

E non ho, quasi mai venduto a commercianti, ma sempre a musicisti con il passa parola: chi aveva già un mio strumento, soddisfatto ne parlava ad altri musicisti..

I primi li ho venduti in America. Spesso venivano appositamente a Cremona degli orchestrali in tournée in Italia, ne acquistavano un certo numero e poi li rivendevano ai colleghi negli Stati Uniti.

La domanda di strumenti musicali ovviamente non è molta, e le ragioni sono diverse.

Innanzitutto, c’è un pregiudizio diffuso tra i Docenti di Conservatorio, secondo i quali, uno strumento vecchio suona meglio di uno nuovo: ovviamente non è vero. Dipende dalla qualità e, da come è stato fatto.

Quindi consigliano sempre di acquistarne uno vecchio.

Guardi in un’orchestra italiana quanti strumenti ad arco nuovi ci sono!  pochissimi. E poi qui in Italia abbiamo l’idea che si deve suonare in orchestra solo a livello professionale.

In Germania, per esempio, si suona anche in famiglia, ognuno ha  il suo strumento: non credo sia solo una questione economica, forse è anche una questione di educazione.

E poi pensi che chi suona non possiede più di un violino alla volta: pochi affermatissimi concertisti possono avere tre o quattro strumenti.

Chi suona per piacere ne prende uno in  vita.

Insomma, la richiesta non è molta. E così un violino fatto da un Maestro deve costare dieci, quindicimila euro:se qualcuno qui a Cremona li vende a mille euro, c’è qualcosa che non va...

Io, e pochi altri colleghi, siamo ormai un po’ dei dinosauri della liuteria: siamo ancora quelli a cui piace mettersi al banco da lavoro, per ore e ore.

Andare in vacanza, avere la bella casa, cambiar la macchina ogni due anni, per noi che la prendiamo un po’ filosoficamente queste cose non esistono.

Uno tra i momenti più importanti della lunga carriera di Wanna Zambelli è stato quando Rocco Filippini, un famoso violoncellista svizzero, le ha chiesto di realizzare uno strumento per lui.

Non è stato facile costruire il violoncello per un musicista che suonava uno Stradivari del 1710.

Gli ho detto che non avrei cercato di fare una copia del suo Stradivari, ma avrei fatto uno strumento seguendo il mio stile e alla fine è rimasto molto contento.



Gioia Logiri

                       

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