L’intolleranza aprioristica nei confronti degli omosessuali, sfociante, sovente, nella discriminazione sistematica e nella violenza fisica, argomenti non così tanto cari al nostro legislatore, pone in evidenza un macroscopico problema che qualsiasi disegno di legge presentato in commissione alle Camere continua a trascurare: il gap culturale degli italiani.
Nel Bel Paese (che fu), infatti, il principale ostacolo che impedisce a migliaia di persone di vivere in santa pace la propria identità, non è la maggiore o minore punibilità degli scellerati che si rendono colpevoli di gesti da condannare tout court, ma un’adeguata educazione alla diversità.
Diversità, badate bene, non tolleranza.
E lo preciso perché alcuni tipi di violenza non hanno nulla a che vedere con il fatto di non concordare con pensieri, principi, azioni o stili di vita diversi dai propri.
Riguardano puramente un’idea di essenza, di esistenza e di materializzazione nel quotidiano.
Concernono l’essere o il non essere in un dato modo.
L’aggressione diurna a danno di due persone dello stesso sesso, generata dal solo baciarsi in pubblico, pone un problema propedeutico a qualunque questione riguardante ogni altro eventuale diritto, perché avente a che vedere con la sussistenza e la presa d’atto della diversità.
La cronaca nazionale e i continui episodi di brutalità, sia fisica che morale, sono l’attestazione che l’italiano medio, non solo, non sopporta l’omosessuale in quanto tale e tanto più se si rende reo confesso di aver esercitato tutti i suoi sacrosanti diritti, comprese le effusioni in pubblico con chi più gli aggrada, ma detesta profondamente chi è portatore di un’identità diversa dalla propria.
Qui l’intolleranza alla diversità, però, non è da intendersi solo in senso culturale, morale, politico o ideologico, ma in senso biologico e naturale.
Perché la molla che spinge ad aggressioni del genere è in tutto e per tutto identica a quelle di calco razzista, legate, cioè, al colore della pelle.
Ora, il punto è che lo stampo culturale maggiormente diffuso e non collimante con l’idea del diverso, e cioè l’identità dell’italiano medio, forgiata da una morale comune tutt’altro che condivisibile su numerosi aspetti, si basa su un’educazione scolastica e familiare retrograde che minano alle fondamenta ogni evoluzione delle interazioni sociali.
E l’intolleranza alla diversità, purtroppo, che ne è il risultato, è un problema che non può trovare alcuna soluzione sul piano del penalmente perseguibile.
Da un punto di vista sociologico, forse, è vero che l’applicazione di una norma può determinare, e quindi anche modificare, un’azione sociale, ma il punto è che quello che si deve combattere ed estirpare alle radici, nel profondo dell’animo, è un pregiudizio che alberga nel retaggio culturale del passato del famoso ventennio, restio a cedere e assai difficile da combattere.
Quello di cui avremmo realmente bisogno, probabilmente, e che potrebbe costituire una spinta poderosa in grado di dare una svolta, sarebbe un’educazione laica alla presa d’atto e al rispetto della diversità in generale in quanto tale.
E cioè l’idea che ognuno di noi, diverso e particolare, ha il diritto e dovere di esistere e manifestarsi in quanto tale.
La diversità come punto di partenza, dunque, d’incontro e di confronto tra le persone che vivono in una comunità.
La scuola, da questo punto vista, potrebbe dare un contributo essenziale.
Per anni abbandonata al ruolo marginale dell’istruzione e dell’addestramento all’entrata nel mercato del lavoro, dovrebbe riconquistare quel baluardo di portatrice dei vessilli della cultura.
Maestri e professori, categorie la cui dignità e il cui compito sono stati sviliti e sacrificati sull’altare dell’assimilazione della scuola pubblica all’impresa, potrebbero seminare quei principi e quelle idee che si distaccano dalla formazione pura per affacciarsi sull’idea di un’educazione all’etica e ai valori morali, ovviamente complementare a quella familiare, che ne verrebbe, comunque, influenzata in positivo.
Il cambiamento, oltre a essere radicale ed epocale, e per ciò stesso arduo da realizzare, costituirebbe, senza dubbio, un volano per abbandonare la società dei razzismi, delle prepotenze, degli egoismi di genere e della competizione, e per crearne una improntata al rispetto, alla tolleranza, alla cooperazione e al mutuo soccorso.
Una società in cui le violenze causate dal razzismo verso la diversità, dall’ostinata e ottusa non accettazione delle peculiarità di cui ciascun individuo, nella sua più intima essenza, si fa portatore, non hanno alcuna cittadinanza.
Una comunità in cui il diverso, e cioè ognuno di noi, è, non solo, il sale della vita ma la ragione stessa della sua esistenza.
Giorgio Monticolo