Nel 1938, durante il programma radiofonico War of the Worlds , numerosi ascoltatori statunitensi si convinsero dell’idea che un’invasione aliena fosse in corso. Proprio negli anni in cui era evidente come i regimi antidemocratici dell’epoca sfruttassero le radio per pianificare la vita e le menti delle persone, l’audience americana e la CBS – l’emittente che aveva trasmesso lo sceneggiato recitato da Orson Welles – avevano sottovalutato il potere di quegli strumenti: il panico si diffuse a macchia d'olio, generando un fenomeno non molto dissimile da una vera e propria psicosi collettiva.
Dal 1938 gli sviluppi nel campo dell'informazione di massa sono stati innumerevoli, e oggi non si parla quasi certamente più di un’ ”era delle radio". Quel ruolo, adesso, è svolto da altri dispositivi, molto più vicini all'utente-consumatore, molto più immediati e, per tale motivo, soddisfacenti. Non solo televisioni ma anche cellulari, computer, tablet: oggi siamo circondati da una gran quantità di strumenti user-friendlyche mettono a nostra disposizione interi archivi di informazioni, così numerose da aver reso la selezione delle stesse un fatto trascurato, se non anche superfluo. Complice lo sviluppo sempre maggiore del web e dell’istantaneità delle notizie, che ben si sposano con quel mito della velocitàche perennemente inseguiamo e di cui già parlava Zygmunt Bauman qualche anno fa, siamo giornalmente bombardati da schiere di aggiornamenti, pareri, dibattiti, opinioni, consigli di esperti della più disparata natura, flash newsdell’emittente più famelica di tutte. Se questa quantità potrebbe essere intesa come una virtù della contemporaneità, essa si traduce anche in un rischio silenzioso: quello di essere costantemente esposti ad un’informazione variegata e vasta, certo, ma parallelamente anche a contributi malsani e controproducenti, innanzi ai quali ci si può trovare impreparati.
La consapevolezza è un tema che spesso non viene affiancato a quello dell’informazione, tant’è che l’informazione consapevole è un fatto di cui si parla poco o in maniera poco approfondita - almeno nella cultura occidentale della contemporaneità -, non tenendo conto dell'impatto psicologico che le parole e le notizie hanno nelle menti di noi tutti. L’informazione consapevole, nella realtà contemporanea, è un concetto che rischia di scomparire, o forse già avviato sulla strada per l’estinzione.
Un'analisi critica dei contenuti che quotidianamente i media sottopongono alla nostra attenzione, iperstimolata e sempre alla ricerca, oggi più di prima, di chiarimenti, distrazioni, etichette, forme di identificazione, risposte, vie di uscita, non sembra tuttavia addirsi a quel fenotipo di consumatore di informazioni ribattezzato tramite la categoria del mediatizzato: un individuo soffocato da un surplusdi contenuti e costantemente chiamato a scegliere ciò che preferisce, incapace di districarsi nei meandri di un’informazione in certi casi di scarsa qualità. E per questo è il consumatore spesso, talvolta, a ritrovarsi incapace di produrre, in modo creativo, informazione di qualità.
Ciò che ascoltiamo, guardiamo alla tv, consultiamo attraverso il filtro dello schermo di uno smartphone sfocia in tutt’altro che una nostra partecipazione passiva. Se è vero, come diceva Marshall McLuhan, che «il mezzo è il messaggio», esso è anche in grado di modificare la percezione che si ha della vita quotidiana. McLuhan stesso, peraltro, cataloga come “freddi” quei media che richiedono un'elevata dose di partecipazione da parte nostra per completare le informazioni che sono fornite – uno di questi è la televisione.
Non si può tralasciare il fatto, però, che l’informazione è da noi anche assorbita, non solo completata, e che essa esercita determinati effetti a livello psicologico. Uno studio londinese condotto nel 2019 evidenzia una relazione tra l'esposizione ai social media e fenomeni come la depressione, l'ansia e lo stress. Sullo stesso solco si colloca una ricerca pubblicata nel Journal of Social and Clinical Psicology,che indica come la depressione indotta dai social media scaturisca dal comportamento mentale di compiere paragoni con le vite apparentemente perfette messe in mostra sulle nostre bacheche, spingendo l'osservatore a tarare in negativo il bilancio che fa della propria esistenza.
Una parte importante della nostra tranquillità e del benessere sociale che possiamo ricercare e sviluppare passa inevitabilmente anche attraverso ciò che ci influenza dall’esterno. Ecco perché un individuo ha necessità di ricevere informazioni funzionali piuttosto che disfunzionali. Come aveva mostrato Neil Postman nel 1985, infatti, una persona è in grado di prendere decisioni efficienti solo se esposta a informazioni funzionaliper quantità e qualità. Postman aveva messo in guardia circa gli eccessi di informazione dannosa, rivelando come essi potessero compromettere la tranquillità psichica dell’individuo e della società. Ma non solo: il sociologo statunitense aveva reso conto di come e quanto i mass media influenzino le nostre abitudini mentali, l’organizzazione sociale, persino le stesse idee politiche. Anche se può sembrare una verità brutale, quando ne facciamo uso i mezzi di comunicazione influenzano in maniera più o meno sensibile il nostro modo di pensare e di agire senza che ce ne rediamo conto.
Se però certe conseguenze sono maggiormente evidenti a livello macroscopico, con forme di allarmismo al limite della psicosi collettiva che dall’avvento dell’emergenza sanitaria si sono moltiplicate – e di questo, per fortuna, sembrerebbero cominciare ad essere consapevoli sempre più esponenti del panorama scientifico e psicologico in questa fase storica –, spesso le conseguenze che l’informazione tossica ha sui singoli soggetti vengono tralasciate o minimizzate. E alcune possono essere importanti, avendo la capacità di interferire con aspetti costitutivi della nostra identità, incluso quello della sessualità.
Il rischio che una scarsa attenzione nei confronti di un’informazione consapevolmente selezionata può comportare è quello del diffondersi di un nuovo tipo di soggetto, diverso rispetto al mediatizzato di cui abbiamo fatto cenno: un individuo deprivato della propria energia vitale, della capacità di guardare in maniera propositiva e proattiva ai propri conflitti e alle proprie fragilità, alle sfide attorno a sé e ai problemi che inevitabilmente affliggono la realtà di cui è parte, nonché di farlo con la giusta serenità e un’attitudine emotiva costruttiva anziché distruttiva. Sperare nel raggiungimento di una tale consapevolezza da parte dei selezionatori e dei produttori di informazioni potrebbe verosimilmente rivelarsi un’ambizione utopica: l’informazione è ampiamente trattata come un bene che genera ricchezza, e l’attuale generazione del capitalismo ne ha fatto uno degli ingranaggi in grado di alimentare la propria macchina socio-economica, soprattutto oggi. La chiave che può generare un cambiamento verso un’informazione consapevole è tuttavia a disposizione del consumatore, di un consumatore che scelga di farsi selezionatore delle informazioni che assorbe ed elabora, che scelga di non subire passivamente l’informazione. Questo non si traduce nel rinunciare alla curiosità, alla necessità di tenersi al corrente di ciò che accade o di intrattenersi per il puro e piacevole gusto di farlo, ritagliandosi qualche minuto del proprio tempo libero a tal fine, magari. Non vuole, altresì, rintanarsi in una selezione ipertrofica, rigidamente asettica delle notizie, che rinunci alla diversità. Un’informazione consapevole non diventa allora quella che rifiuta aristocraticamente il confronto, ma quella in cui si allena il proprio senso critico a valutare la qualità e la necessità di ciò che viene fruito, facendo della messa in discussione uno stimoloso, piuttosto che un deterrente.
Luca La Cava