Alcuni nuovi estratti da "Su fondamenta instabili"

Alcuni nuovi estratti da "Su fondamenta instabili"
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Ecco alcuni piccoli brani di un'opera che sto ampliando:


AL BAR GIULIA

Il sole fa breccia nel mio animo questa mattina. Ho fatto due chiacchere con la vicina. Poi ho proseguito oltre, verso il bar. Conosco di vista diverse persone lì.  Conosco un gruppo di lavoratori albanesi molto simpatici, educati e senza grilli per la testa. Sanno sempre come comportarsi. Talvolta dialogo un poco. Parliamo del più e del meno.  In quel locale mi piace inebriarmi dei modi affabili dei titolari, della bontà del cappuccino,  del brusio della vita.



FLAIANO

Flaiano scriveva che in Italia l'arabesco è la linea più breve tra due punti. Questo vale anche per i letterati che dovrebbero smettere di complicare ulteriormente il già complesso. Nella comunità letteraria uno, anche se non dice niente, ci  passa bene se scrive in modo difficile,  astruso, illeggibile. Basta con il birignao!




CARO AMICO

Caro amico, non so chi tra noi due scenderà per primo alla fermata. Probabilmente io. Comunque sappiamo un poco cos'è la vita, anche se dubito che abbiamo imparato qualcosa, ammesso e non concesso che si possa imparare dalla vita.   Abbiamo visto presunti geni che sono affogati nei bicchieri d'acqua, uomini che si credevano padreterni morire miseramente, amici morire nel fiore degli anni, operai che avevano lavorato quarant'anni in fabbrica morire un anno dopo la pensione, belle sciantose sfiorire e invecchiare malamente. È il tempo che scorre inarrestabile,  è la vita che ferisce, è la morte che immancabilmente  colpisce. Tutto poi alla fine si riduce solo a questo: prendere o lasciare…Il resto, com'è scritto nell'Ecclesiaste, è vanità.




RENÉ CHAR

Char non c'entra niente. Char c'entra eccome, seppur inconsciamente e marginalmente. Certamente io non raggiungo i suoi vertici ineguagliabili di lirismo.  E non è l'unico a cui sono debitore!



IL NEGOZIO

Quando avevo il negozio scrutavo,  osservavo minuziosamente le passanti, i frequentatori abituali di quella piazza di cui sapevo vita, morte, miracoli. Pur avendo un negozio in centro non avevo amicizie, né amori. Mi ripetevo mentalmente che neanche se avessi vissuto mille vite in quella cittadina sarei stato felice. Mi ricorderò sempre il gioco di sguardi di una passante di cui mi invaghii e che amava carnalmente altri. Fu una presa di giro. Adesso è una donna attempata e sposata con prole. Allora scrutavo, osservavo tutto. Già intravedevo il vuoto, l'abisso, il Nulla all'orizzonte, ma rimuovevo la visione, facevo finta di niente. Adesso sono un uomo da nulla. Ma questo lo avevo già presagito.


COSA CERCO

Non cerco il nuovo o lo straniamento. So bene come si dovrebbe scrivere per farsi rispettare dai poeti di ricerca e me ne frego. Non cerco il successo. E allora cosa cerco nelle mie parole, con le mie parole? Cerco un poco me stesso, cerco un poco l'umanità,  cerco un poco il mondo, cerco un poco di Dio, se c'è. Non cerco forse l'impossibile? E allora perché lamentarsi?



CHIESA NUOVA

Ho mangiato una pizza con mio padre sull'Arnaccio. Prezzi modici, ottima pizza, personale gentile ed efficiente. I clienti erano camionisti e anziani. Tutte persone tranquille. Non c'era l'ombra di nessun fighetto. C'erano anche una cena aziendale e una piccola riunione di famiglia.  Era tutta gente che sapeva com'era veramente la vita e che non aveva più illusioni. La cameriera raccontava a un conoscente che un medico aveva rimesso al mondo suo marito che soffre di ernia del disco. Ci ritorneremo a Chiesa nuova. È una delle poche trattorie per camionisti rimaste insieme a Ivo vicino Cenaia e a Nonna Ilva a Fornacette. In questi locali si mangia casareccio ed è tutto economico.  Appena uscito ho guardato il brulichio di luci di Cascina in lontananza. Un tempo questa strada era l'unica che da Pontedera portava a Livorno. Ci sono stati centinaia di morti in quei decenni, prima dell'apertura della superstrada. Ho pensato a quegli incidenti,  a quei morti, ai loro familiari. Tutto a un tratto all'improvviso, come se niente fosse, arriva la morte. Poi siamo ritornati a casa, parlando di cosa avremmo potuto mangiare a pranzo. Eppure può essere sempre l'ultimo pranzo oppure l'ultima cena. Basta un niente, un istante, una distrazione alla guida o un malore. Mentre facevo questi pensieri, le immagini del giorno scorrevano fluide dentro di me.



IL BENE

Se dovesse succedermi qualcosa, ricordate la mia allegria di una sera in pizzeria, la  ricerca di un senso delle cose  che non ho mai trovato, il mio rammarico per un odio che non ho trattenuto, la mia malinconia per un amore che non ho avuto. Ricordatevi che vi ho voluto bene o che forse vi ho voluto e basta, vi ho voluto accanto a me invece di prendere un treno e fuggire dalla provincia in cerca della carriera. Questa rinuncia un poco mi è costata, ma mi avete ripagato e ricompensato a dovere. Già questo è sufficiente,  indipendentemente dal predicozzo funebre del diacono o del prete, che dovrà commentare, giudicare una persona, una vita intera che non ha mai conosciuto.



CARO BABBO

Caro babbo, io sono qui ad aspettarti da ore in questa sala d'attesa del pronto soccorso. Sto qui a fissare le piastrelle, le poltrone rosse, le pareti con i fogli affissi. Io sono qui a cercare di leggere i volti dei medici e degli infermieri. Ho preso un caffè al distributore automatico con i pochi spiccioli nelle tasche. Aspetto una risposta. Aspetto che il personale mi chiami e mi dica qualcosa.  Aspetto che tu esca da quella porta da cui sei entrato. Qui c'è gente che va e che viene e l'attesa è snervante. La mia mente è vuota. Gli intellettualismi li lascio volentieri agli altri questa notte. Nessun scintillio, nessun zampillo e una sola immagine: quella di te che guidi e di me che sono al tuo fianco in una domenica pomeriggio noiosa, mentre la tua utilitaria attraversa la pianura, bagnata dalla pioggia settembrina.





I FARMACI

Mi dici che ti hanno trovato gli enzimi del pancreas alti e che devono trattenerti fino al pomeriggio. Ti faranno altri controlli. Sono tutti educati, premurosi, scrupolosi qui. Vado a casa a prenderti i farmaci e poi te li porto. L'infermiera mi fa passare. Sei sdraiato su un lettino della terza stanza.  Alle 14:30 ti faranno altre analisi. Mentre mi congedo da te ti dico: “chiamaci che non ti costa nulla. Facci sapere”. Poi mi incammino sulla strada del ritorno in attesa di quella telefonata.  È afoso e allo stesso tempo nuvoloso. Sono previsti temporali. Oggi va così…




PROBABILITÀ, CROCE E DELIZIA

A volte la probabilità ti grazia: un vento nefasto molto probabile non si avvera. Altre volte la probabilità ti condanna: un evento altamente improbabile si avvera.



LA FELICITÀ

Per gli antichi era felice chi perseguiva la virtù. Oggi la felicità viene considerata nient'altro che uno stato d’animo. Basta poco per essere felici. Si è felici quando non si prova dolore, non si ha alcun dispiacere, ma non è detto che si debba provare un grande piacere. La felicità non è necessariamente uno stato di estasi o di godimento totale. È una beatitudine di un attimo. È un momento di pace interiore. È un istante di grazia. La noia è nemica della felicità. Tutto è abitudine e ci è familiare. Quindi per essere felici bisogna cercare di guardare con occhi nuovi le solite cose della nostra vita.  A mio modesto avviso la felicità non va confusa con la contentezza di chi ad esempio ha soddisfatto i suoi bisogni. La contentezza è un appagamento di tipo materiale a mio modesto avviso. La felicità è per me un istante o poco più. È qualcosa di transitorio e passeggero. Non è una condizione duratura.  Epicuro nella sua lettera della felicità parlava di come avere una vita felice. A mio avviso si può avere al massimo una vita serena, ma la felicità è un picco difficilmente raggiungibile. Certamente si può essere felici con poco ed essere insoddisfatti, pur avendo molto.  Questo è uno dei paradossi della felicità.

Un’altra cosa insolita è che la felicità altrui è spesso insopportabile. Al massimo si può solo godere della felicità dei propri cari. Ci sono alcuni che godono delle disgrazie altrui. Quindi anche ciò può essere causa di gioia per alcuni. Altra stranezza è che solo due tipi di persone, almeno secondo la saggezza orientale, possono essere felici spesso: gli sciocchi e i mistici.  Spesso viene considerato felice chi è libero. Lo esprime magistralmente in una sua canzone Lucio Dalla: “Ah felicità, su quale treno della notte viaggerai…”. Nella dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti la ricerca della felicità è un diritto inalienabile. Nei bugiardini degli antidepressivi c’è scritto che possono causare euforia. Può accadere ad esempio quando uno psicologo sbaglia diagnosi e scambia un maniaco-depressivo o un ciclotimico per un depresso. Quindi la felicità indotta e artificiale viene chiamata euforia? Oggi più che mai ci sentiamo in obbligo di essere felici. Ma le cause di insoddisfazione possono essere molteplici. Freud riteneva ad esempio che non si potesse ridere da soli. Il riso anche secondo Bergson è contagioso. Eppure ritengo che si possa anche essere soli e felici perché come in uno Short di Auden chi è solo ad una certa ora, una volta chiusa la porta di casa, non ha nessun ficcanaso che lo importuna. Non è necessariamente detto che essere ricchi significhi essere felici. Come scrisse Ezra Pound i ricchi hanno maggiordomi e non amici.


HUMAN TOUCH

Il gruppo svolge funzioni psicologiche fondamentali per l'equilibrio dell'individuo come il mantenimento dell'autostima,  il sostegno morale, la  comprensione dei problemi. Almeno questo è vero per la psicologia. Durante il quarto congresso internazionale di psicoterapia di gruppo, svoltosi a Vienna nel 1968, il gruppo venne concepito come "difesa contro l'ansietà che ci viene dal pensiero dei miliardi di individui che vivono sul nostro pianeta". È argomento controverso stabilire quali possono essere i fattori che sono cause di emarginazione di una persona dal gruppo. Il motivo più facilmente rintracciabile è la diversità dell'individuo emarginato rispetto alla comunità.  Una rassegna di studi ha rilevato infatti la contiguità tra somiglianza, credenze simili e amicizia. La diversità dell'emarginato può essere volontaria o involontaria. Nel primo caso il soggetto è spesso un deviante che non si conforma alle regole, alle idee, ai principi, ai valori del gruppo. Nella nostra società occidentale sono fondamentali i gruppi informali, che forniscono sostegno, solidarietà,  rimozione dell'ansietà individuale grazie alla coesione di più persone. Il grande poeta e sociologo Danilo Dolci, famoso per i suoi libri-inchiesta, per la sua lotta alla mafia, per le sue marce, per  i suoi digiuni, per  la sua non violenza scriveva: "Così la vita di gruppo, la vita comunitaria, è pure un indispensabile strumento di verifica e di costruzione personale e collettiva. La vicinanza fisica con gente autentica può generare chiarezza morale"; ma non scordiamoci che lo stesso autore scriveva anche: "Dove c'è un vivo, lì, palese o no, nasce una comunità". La stragrande maggioranza di noi hanno bisogno di essere in coppia; molti non riescono a concepire sé stessi da soli. Il primo motivo è che non riescono a stare bene da soli. Il secondo motivo è che hanno bisogno di trovare un'altra persona per essere soddisfatti sessualmente, per non soffrire di carenze affettive, per trovare un dialogo continuo, una compagnia. Esiste anche la pressione sociale che spinge le persone a cercare la dolce metà. Molti cercano una persona che li completi perché da soli non si bastano. Abbiamo bisogno per natura o per cultura di altra pelle oltre la nostra, di un altro corpo oltre il nostro, di altre parole, di altro udito, di un altro sguardo, di altra umanità oltre la nostra. O almeno così ci sembra di primo acchito. Forse è proprio perché la società ci impone la rottura della solitudine che questa ci sembra così innaturale e ci sembra infelice chi non sa o non può amare o stare in mezzo agli altri. Da giovani chi non ha un partner sessuale si sente irrimediabilmente solo perché il bombardamento pornografico impone l'estroversione sessuale a ogni costo e a ogni modo. Poco più che ventenne ho lavorato per un anno in un collegio di salesiani e in un ambiente più casto mi sono accorto che alcuni  miei impulsi sessuali erano socialmente indotti.

La verità comunque è che la stragrande maggioranza di noi cercano un human touch (un tocco umano) per dirla alla Bruce Springsteen. Quello che mi sono sempre chiesto è se il voler rompere la solitudine sia dovuto alla natura o alla cultura. Mi sono sempre chiesto quanto la socialità sia socialmente costruita e quanto sia fisiologica. Ma io mi chiedo, dopo essere cresciuti socialmente, culturalmente, umanamente quanto abbiamo bisogno sempre socialmente, culturalmente, umanamente degli altri, se non si è malati e si è autosufficienti? Per Rousseau e per Freud gli uomini hanno creato una civiltà, barattando buona parte della loro libertà per la loro sicurezza. Ogni test di personalità che si rispetti prevede la misurazione del grado di socievolezza del soggetto. Il MMPI prevede una scala che quantifica l'introversione sociale, che viene considerata negativamente, ovvero come difficoltà o meno a rapportarsi con gli altri. Il Big Five prevede la misurazione di due tratti di personalità a tal riguardo: l'estroversione e l'amicalità. Dietro a tutti questi costrutti psicologici c'è il retropensiero diffuso tra gli studiosi, che diventa molto spesso un postulato dato per certo, ovvero che l'uomo è un animale sociale. Sarà pure vero. Ma in me sorge spontanea una domanda: l'uomo può fare a meno degli altri, dopo che è stato istruito, educato e quindi gli altri li ha interiorizzati? Secondo la mistica cristiana e non solo l'uomo per cercare, pregare, trovare Dio sta meglio da solo e gli altri sarebbero una distrazione, addirittura un disturbo. Basta ricordarsi dei Padri del deserto oppure in epoca medievale degli stiliti. Talvolta ci si ritira dalla solitudine per fuggire dagli altri...

Anche in letteratura e nell'arte ci sono tanti esempi di persone che hanno scelto l'introspezione, la ricerca interiore, considerandole quasi come una necessità dell'animo, per creare. Si pensi solo a Proust che per scrivere il suo capolavoro si isolò per anni in una stanza con pareti ricoperte di sughero e dalle finestre sbarrate.  Alcuni psicologi, psicoterapeuti,  psichiatri, a torto o a ragione, ritengono che il bisogno di solitudine sia correlato significativamente con il livello di introversione dell'individuo. Ma alcuni artisti e religiosi si impongono la solitudine e il raccoglimento interiore per i loro scopi, mentre per altri la cosa è molto più spontanea e naturale. La realtà è che si potrebbe considerare patologico chi non sa stare da solo, ma, siccome il mondo va avanti grazie a chi fa figli (oggi il problema è casomai che stanno facendo troppi figli e la sovrappopolazione è un grave problema), viene molto spesso considerato patologico l'asociale, cioè colui che decide di non stare tra gli altri o colui che non sa stare tra gli altri.




IL FIGLIO SCEMO DI FABIO E GRAZIELLA

Io per i pontederesi sono soltanto  il figlio scemo di Fabio. Altri pensano che abbia qualche rotella che non va. Mio padre lo considerano tutti un uomo in gamba, uno che ha senso pratico. Mio padre è un uomo rispettabile. Mio padre è un perito che ha fatto l'impiegato alla Piaggio per sette anni, il consulente aziendale per più di trenta, seppur tra alti e bassi (perché in certi periodi il telefono non squillava e poi tutto a un tratto il mondo del mobile è finito), il consigliere di amministrazione di una piccola banca per trent'anni. Ma non vi venga in mente che sia benestante: ho solo i soldi per tirare a campare e lo stesso vale per mia sorella.  Qualcuno potrà pensare che mio padre è un uomo che ha fatto il suo tempo, ma ritengono comunque all'unanimità che mio padre ci ha saputo fare. E io con la mia laurea che ho combinato? Assolutamente nulla. Per i pontederesi sono solo un inetto, un incapace, un fallito. In alcuni noto un senso di rivalsa, che anni fa era invidia malcelata.  Io per i pontedersi sono il figlio scemo di Graziella, che ha fatto la terza avviamento, ma che è diventata assistente giudiziaria.  Io sono solo uno inutile, uno che non vale niente,  uno che non ha combinato mai niente di buono. Le persone che si sentono arrivate non mi lasciano parlare e mi stringono la mano debolmente e freddamente e talvolta fanno battute. Alcuni potrebbero aiutarmi, ma non lo fanno per antipatia. Alcuni ci godono che io sia uno sfigato e che le cose non mi vadano bene.  Poi non ho mai messo la testa a partito, come invece fanno in molti qui, per avere una vita facile. Alcuni ridono di me, anche perché sanno che un tempo scrivevo  versi. Ma non vi venga in mente che abbia voglia di lasciare la scena anzitempo o che abbia voglia di ritornare nel ventre.  In centro non ci vado più. Nel mio quartiere alla Sozzifanti conosco bene solo i vicini che sono bravissime persone. Al bar Giulia ci sono persone tranquillissime che si fanno gli affari propri. Per il resto ora, tranne Lele, non frequento nessuno. Ogni sera prendo il sonnifero e dormo senza rimuginare. La mattina sono sempre pronto per un nuovo giorno.

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