Dottore Carlo D'Angelo: "la notte degli Oscar ha premiato un piccolo seme" Voce delle Soglie
La notte degli Oscar l’ha vinto “La storia di un piccolo seme”.
Regista sconosciuto.
Protagonista senza nome.
Produttori indipendenti: un popolo in cammino.
Nessuno se l’aspettava.
Tra i colossi hollywoodiani, gli effetti speciali, le storie che esplodono sul grande schermo,
ha vinto un film minuto, silenzioso, quasi timido.
Un film che inizia con una cosa che nessuno nota:
un seme che cade a terra.
La critica l’ha definito “l’opera più sovversiva dell’anno”.
Non perché gridi, ma perché mostra ciò che tutti dimenticano:
che la libertà non nasce dai potenti,
ma da ciò che è piccolo, fragile, paziente.
Il regista — sconosciuto, schivo, quasi invisibile —
è salito sul palco con le mani che tremavano.
Ha detto solo questo:
“Ho raccontato la storia di un seme perché un seme non ha paura del buio.
Ci entra. Lo attraversa. E da lì comincia.”
È stato il discorso più lungo che abbia mai fatto.
Poi ha guardato la platea e ha aggiunto:
“Questo premio non è mio. È di chi continua a mettere radici anche quando il mondo gli dice di smettere.”
E là, in platea, il vero protagonista del film —
un popolo in cammino —
ha ricevuto una standing ovation.
Un popolo che non ha un nome solo:
sono quelli che non rinunciano,
quelli che si rialzano,
quelli che rifiutano l’idea che la libertà sia un privilegio.
Sono uomini e donne che hanno capito una cosa semplice e immensa:
che la libertà non si eredita, si conquista.
E si riconquista ogni giorno.
Il premio della critica è andato proprio a loro:
a chi cammina,
a chi non si inginocchia davanti alla paura,
a chi non si lascia comprare dal rumore,
a chi resiste con la forza tranquilla delle cose vere.
In questa edizione degli Oscar,
tra luci, applausi e tappeti rossi,
la statuetta più luminosa non è andata a un attore,
né a uno studio cinematografico.
È andata a un seme.
A ciò che nasce piccolo.
A ciò che cresce nel silenzio.
A ciò che nessuno vede,
ma che un giorno, inevitabilmente, apre la terra.
E forse era destino.
Perché le storie che cambiano il mondo
non arrivano mai dall’alto.
Arrivano da ciò che è nascosto, umile, ostinato.
Come un seme.
Come un popolo che cammina.
Come la libertà che non accetta padroni.
Tratto da Voce delle soglie pagina Facebook fondata dal Dottore Carlo D'Angelo Psicologo e Psicoterapeuta.
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