Dott.re Carlo D'Angelo : "dopo Papa Francesco: la Chiesa, le ferite, le attese”

Dottore Carlo D'Angelo : "dopo Papa Francesco: la Chiesa, le ferite, le attese”, una lettura non ideologica di un tempo ecclesiale difficile, premessa necessaria: il coraggio di dire senza paura"

Riflessioni del Dottore Carlo D'Angelo Psicologo e psicoterapeuta :

Parlare oggi di Papa Francesco — ora che la sua voce si è spenta — non è semplice né immediato.
Il rischio è doppio: o l’agiografia, o il giudizio frettoloso.
Ma chi ama davvero la Chiesa — non può tacere.
Perché tacere è mancare di rispetto a chi ha faticato, ha servito in silenzio, ha sofferto senza visibilità.
E allora bisogna parlare.
Con libertà e con fedeltà.
Il pontificato di Francesco: un papato centrato sulla persona.
Mai come con Papa Francesco la figura del Papa è diventata centrale.
Non solo come pastore universale, ma come persona da amare, seguire o contrastare.
Il “Bergoglismo” è diventato quasi una corrente ecclesiale, dove aderire al Papa significava assumere un’identità ideologica:
- sei con Francesco o contro di lui
- sei nel profumo delle pecore… oppure sei “clericale” e “rigido”.
Ma questa dinamica ha creato un paradosso: proprio un Papa che diceva di voler decentralizzare, ha finito col generare una concentrazione assoluta sul suo stile, sui suoi gesti, sulle sue parole.
Non si parlava più della Chiesa.
Si parlava di lui.
Il clero e la confusione: tra parole forti e solitudini.
Per molti presbiteri e religiosi, questo è stato un tempo di disorientamento profondo.
La percezione diffusa — vera o meno, ma viva — è stata quella di un Papa poco vicino ai preti.
Non tanto perché non li nominasse, ma perché li giudicava continuamente.
Spesso dall’alto, spesso con toni taglienti.
Con parole che suonavano più come rimproveri che come cure.
Il risultato?
Un clima di sfiducia, di solitudine, di ritiro.
Molti pastori si sono chiusi.
Altri si sono sentiti inadeguati, accusati, zittiti.
E intanto, chi seguiva logiche di “cordata” e visibilità, saliva.
Non l’odore delle pecore, ma l’odore dell’appartenenza a una linea.

La Chiesa: una comunità smarrita, divisa, polarizzata

In questi anni si è rotto qualcosa.
Si è persa un’armonia interna.
Si è smarrita l’unità di fondo, quella che non è uniformità ma riconoscimento reciproco.
Molti hanno vissuto un senso di sradicamento ecclesiale, come se il sentirsi “nella Chiesa” passasse solo attraverso un’allineamento ideologico.
Chi non si riconosceva nello stile di Francesco si sentiva marginalizzato, giudicato, non ascoltato.
E chi invece si sentiva “bergogliano” occupava spazio, senza fare autocritica.  La Chiesa si è trovata allo sbando.
Divisa, non per differenze fisiologiche, ma per mancanza di un centro spirituale condiviso.

Le ombre sul governo e la comunicazione

È innegabile: Papa Francesco ha avuto intelligenza simbolica, gesti profetici, capacità comunicativa potente. Ma non sempre ha saputo governare.
Ha generato molto chiacchiericcio, e ha fatto poco ordine.
Dal primo giorno, ha parlato più con frasi che con riforme chiare.
Ha creato un’immagine forte, ma a volte ambigua, aperta a interpretazioni opposte.
E questo ha alimentato una Chiesa chiacchierata, polarizzata, stanca.
E ora?
Dopo Francesco, quale profezia?
A differenza dei suoi predecessori — Giovanni Paolo II e Benedetto XVI — di Francesco non si parla con reverenza, né con nostalgia unanime.
Il suo papato ha lasciato una scia divisiva, non una traccia condivisa.
Pochi lo citano con cuore grato.
Molti lo lasciano scivolare nel silenzio.
Eppure, proprio da qui può nascere una domanda radicale:
Forse è il tempo di smettere di dividersi per un Papa, e ricominciare a convergere verso il Vangelo?
Forse è il tempo di lasciarci dietro le tifoserie ecclesiali, e tornare a sentire il grido delle comunità stanche, dei preti soli, dei fedeli smarriti?

Una Chiesa che torna a respirare

Il tempo di Francesco è stato storico, difficile, necessario nella sua scomodità.
Ma ora la Chiesa ha bisogno di respiro, unità, cura reciproca.
Ha bisogno di parole meno provocatorie e più profetiche.
Di pastori che non cerchino una corrente, ma un cuore evangelico.
E forse, come in ogni tempo ferito, saranno proprio i piccoli, i silenziosi, i fedeli senza visibilità a rigenerare la Chiesa da dentro.